Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo.
a.m.
di Mao Valpiana presidente del Movimento Nonviolento.
L’ho visto solo nelle poche foto in bianco e nero. Mi ha sempre piacevolmente stupito il contrasto fra quell’aria austera dietro gli occhiali spessi e il suo indomabile spirito giovanile, aperto e innovativo, in perenne ricerca. Aldo Capitini muore il 19 ottobre 1968. Noi ultra cinquantenni di oggi non l’abbiamo conosciuto, eravamo ancora troppo piccoli. Di lui abbiamo sentito parlare solo qualche anno più tardi, ai tempi degli obiettori in carcere, della legge 772, delle prime esperienze di servizio civile. Abbiamo scoperto così che non siamo stati i pionieri ma che qualche decennio prima di noi un professore antifascista già difendeva l’obiezione di coscienza e organizzava le Marce per la pace. Incominciavamo a muovere i primi passi nel campo sociale e politico, e leggere «Teoria della nonviolenza» o «Le tecniche della nonviolenza» ci faceva intuire quanto è vasto l’orizzonte della nonviolenza e ci invogliava a correre in avanti, per vedere un po’ più in là. Molti nostri coetanei preferivano le barricate, sognavano la guerriglia e sceglievano simboli con i fucili. Noi ci siamo affezionati al fucile spezzato che spuntava dalle pagine della rivista «Azione nonviolenta». Ci sentivamo vicini alla voglia “rivoluzionaria” di cambiamento dei tanti movimenti giovanili di sinistra ma ci allontanava quel loro compiacimento della violenza, a volte “dolorosa ma necessaria”, altre volte “levatrice della storia”.
Il percorso culturale e politico di Aldo Capitini, che abbiamo approfondito leggendo i suoi libri, ci sarà di grande aiuto.
a.m.
di Mao Valpiana presidente del Movimento Nonviolento.
L’ho visto solo nelle poche foto in bianco e nero. Mi ha sempre piacevolmente stupito il contrasto fra quell’aria austera dietro gli occhiali spessi e il suo indomabile spirito giovanile, aperto e innovativo, in perenne ricerca. Aldo Capitini muore il 19 ottobre 1968. Noi ultra cinquantenni di oggi non l’abbiamo conosciuto, eravamo ancora troppo piccoli. Di lui abbiamo sentito parlare solo qualche anno più tardi, ai tempi degli obiettori in carcere, della legge 772, delle prime esperienze di servizio civile. Abbiamo scoperto così che non siamo stati i pionieri ma che qualche decennio prima di noi un professore antifascista già difendeva l’obiezione di coscienza e organizzava le Marce per la pace. Incominciavamo a muovere i primi passi nel campo sociale e politico, e leggere «Teoria della nonviolenza» o «Le tecniche della nonviolenza» ci faceva intuire quanto è vasto l’orizzonte della nonviolenza e ci invogliava a correre in avanti, per vedere un po’ più in là. Molti nostri coetanei preferivano le barricate, sognavano la guerriglia e sceglievano simboli con i fucili. Noi ci siamo affezionati al fucile spezzato che spuntava dalle pagine della rivista «Azione nonviolenta». Ci sentivamo vicini alla voglia “rivoluzionaria” di cambiamento dei tanti movimenti giovanili di sinistra ma ci allontanava quel loro compiacimento della violenza, a volte “dolorosa ma necessaria”, altre volte “levatrice della storia”.
Il percorso culturale e politico di Aldo Capitini, che abbiamo approfondito leggendo i suoi libri, ci sarà di grande aiuto.