Le donne, Aldo Capitini e me
di
Elisabetta Chiacchella, di radicaliperugia.org
tratto dal sito della libreria delle donne di Milano
Forse l’ultima, in ordine di tempo, ad esserne permeata è la
poetessa Anna Maria Farabbi, la quale conclude la sua guida letteraria di
Perugia conducendo i suoi lettori al cimitero nuovo, alla tomba di Capitini
(Perugia, Unicopli, 2014). Fra le altre cose, Anna Maria ha rilasciato
un’intervista dal titolo Il mio sguardo su Capitini il 22
aprile 2014 alla rivista online “Risonanze” in cui evidenzia “la sua quotidiana creatività
nel tessere modalità democratiche per accendere e scuotere la coscienza degli
altri, portando frutti all’intera comunità. Consapevoli delle differenze e
delle possibili condivisioni”.
Elisabetta Chiacchella |
E prima di lei l’ha incontrato Adriana Croci, che lavorò insieme a
lui presso la cattedra di Pedagogia di Perugia per due anni, gli ultimi della
vita del filosofo perugino: “NESSUNO SI ESAURISCE NEI LIMITI CHE HA è una delle sue espressioni
che utilizzo di più. Non è una frase ad effetto: è un programma e una
prospettiva di vita”. Parimenti all’esercizio
della nonmenzogna, che “di fatto significa: impegnati con la nonviolenza a lottare per la
realtà liberata”.
Luisa Schippa nel 1992 con infaticabile cura ha dato alle stampe
un’edizione dei suoi scritti sulla nonviolenza; Patrizia Sargentini all’inizio
degli anni 2000 si è dedicata alla ricerca del Capitini poeta, e ha pubblicato
un libro su questo.
Emma Thomas, una educatrice quacchera inglese, si trasferì a
Perugia nel 1944 all’età di 72 anni per lavorare con Capitini, condividendone
l’orientamento libero religioso e la scelta vegetariana. Ora Emma Thomas è
sepolta nella tomba rettangolare di pietra grigia, posata a terra, insieme ad
Aldo Capitini, a Luigia Vera Piva e a Riccardo Tenerini. Senza essere parenti,
sono insieme, nel legame.
Sarebbe però sbagliato immaginare di trovare nell’opera di Aldo
Capitini una meditazione diffusamente articolata sulle donne e sul femminismo,
italiano e/o internazionale. Poche sono infatti le pagine in cui il filosofo
riflette su questo argomento, e anche i titoli dei suoi scritti sul tema
appaiono scopertamente basati su un approccio piuttosto tradizionale: La donna nel suo posto sociale, L’educazione della donna in Italia, Le donne per la pace.
Nato nel 1899 e morto nel 1968, Capitini indirizzò i suoi
interessi e il proprio impegno totale alla noncollaborazione col regime
fascista, all’organizzazione reticolare dell’opposizione politica durante il
ventennio, all’approfondimento teorico-pratico della nonviolenza, alla lotta
per l’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia, alla costruzione
di una spiritualità libero-religiosa. E a molte altre cose ancora, come la
messa a fuoco della definizione di omnicrazia (il potere di tutti) e del concetto di compresenza dei morti
e dei viventi.
Nelle brevi tracce del suo pensare le donne, il punto maggiormente
ribadito è la necessità che non si guardi al femminile solo come dimensione
privata (madri e persone amate) ma che alla sfera familiare si aggiunga “la donna sentita come amica,
collaboratrice di opere, compagna sociale, essere umano autonomo” (La donna nel suo posto sociale, in Aggiunta religiosa all’opposizione, 1958). La
disparità nella responsabilità pubblica “deve essere superata dagli
uomini nel considerare le donne, ed essi potranno fare questo tanto più, quanto
più le donne stesse lo faranno dentro di loro e nel vario loro operare”.
Un paragrafo in Le donne per la pace ricorda gli anni successivi alla Liberazione, anni in cui “la freschezza e la dedizione
con cui ho visto agire le donne dell’UDI, per esempio di Perugia, la modestia e
la costanza con cui hanno partecipato alla vasta opera di assistenza, di
controllo amministrativo, di propaganda, è uno dei più bei ricordi di questo
periodo di luci e ombre”.
Nel primo volume di Educazione aperta (1967) recensisce un libro di Enzo Santarelli dal titolo La rivoluzione femminile, scrivendo fra l’altro: “tutta la letteratura e la
polemica sul problema della donna […] confluiscono oggi con la
maturazione, attraverso le varie emancipazioni e assunzioni di responsabilità
(questo è libertà), di una nuova umanità”.
Io ho incontrato Capitini fra il 2010 e il 2011. Avevo letto da
poco Petrolio di Pasolini e quella lettura dentro di me era stata uno
sparo, un’epifania. La verità riguardo il mio Paese mi era stata rivelata in
modo allegorico, e io l’avevo vista. C’era stata in me una vita prima di quel
libro, ci sarebbe stata una vita dopo quella lettura. A partire da lì, maturai
una decisione politica, in mezzo a un’acuta sofferenza: scelsi di sottrarmi, in
famiglia, a legami profondissimi, divenuti irrespirabili per me. Rinunciavo,
dopo averci riflettuto con grande prudenza, alle persone più care che avevo.
Davanti a me c’era il deserto. Sola, poco dopo trovai il solitario Capitini,
prima nelle testimonianze dei suoi amici e amiche rimasti in vita, poi nei suoi
scritti (Religione aperta, Le tecniche della nonviolenza). Grazie a Capitini provo a diventare amica della nonviolenza e
mi sforzo di impostare la vita ispirandomi alla nonmenzogna, all’esercizio del
parlare e dell’ascoltare nella vita quotidiana e nelle relazioni. Sono
sinceramente interessata alla trasformazione dei rapporti, piuttosto che alla
sconfitta delle persone che mi sono di ostacolo. Mi impegno nel recupero faticosissimo
del respiro, della respirabilità degli affetti, della politica.
Un anno più tardi, incontrai Carla Lonzi. Ne avevo sentito parlare
da due amiche, una mantovana e l’altra umbra. Una sua pagina mi era capitata
fra le mani. Tuttavia è stato nel 2012 che mi sono immersa nelle sue opere,
sbalordita dalla tempra di pensatrice che riesce a dire, a parlare di una vita
in autonomia e fatta di relazioni non subìte, ma scelte. Scorreva davanti a me
un’esistenza di donna che si scopre nel suo farsi, e osa dire di sé e delle
altre. Qualcosa di inaudito e di inedito per me. Uscivo con sollievo dal
monopolio maschile del pensiero, e dalla mia ignoranza.
Con queste persone a guidarmi, nella mia mente è sorta un’urgenza:
sollecitare la necessità del superamento dell’economia basata sul petrolio,
informare sulla necessità dell’esercizio della nonviolenza, far aprire gli
occhi sulla necessità del riconoscimento del pensiero e dell’azione femminile.
Così mi sono messa nell’impresa.
Nel 2013 ho scritto un articolo sulla relazione mancata e assente
fra Carla Lonzi e Pier Paolo Pasolini, articolo che Luisa Muraro ha molto
valorizzato, sorprendendomi. Poi l’8 novembre 2015 ho partecipato alla giornata
sull’odio politico fra donne. Giornata che mi ha colpito e sono stata felice di
aver ascoltato tante voci. In quell’occasione, come ora in queste righe, mi
sono inoltrata per capire se nonviolenza e pensiero femminile avessero qualche chance di conoscersi e riconoscersi. Può darsi che questa ricerca
interessi solo me. Oppure forse persone vive come Aldo Capitini e Alexander
Langer (da me solo nominato l’8 novembre, e che andrebbe approfondito)
entreranno nell’orizzonte di alcune/i di noi, che tesseranno nel presente una
relazione, senza mancarla.
(Via Dogana 3, 11 dicembre 2015)
Nessun commento:
Posta un commento