domenica 1 novembre 2015

Testimonianza di Adriana Croci sul suo rapporto con Aldo Capitini dal dibattito "Capitini, nastri ritrovati"

Pubblico durante il dibattito
Quello che segue è l’intervento di Adriana Croci  sul suo rapporto con Aldo Capitini letto da Mario Albi durante il dibattito “Capitini, nastri ritrovati”
«Ho lavorato direttamente con Il prof Capitini soltanto due anni (gli ultimi della sua vita) quando lui ebbe la cattedra di Pedagogia a Perugia. Ero una maestra di ruolo che aspirava a prendere la laurea per fare meglio l’ educatrice. Ho sostenuto con lui due dei tre esami di pedagogia previsti dal mio curricolo.
Dico “lavorato con lui” perché, quasi da subito mi incaricò di seguire un gruppo di giovani matricole in incontri di riflessione intorno al testo di Platone LA REPUBBLICA.
Il professore Capitini appena arrivato a Perugia aveva introdotto i “seminari”. Affidava ad un coordinatore anche esterno al Magistero, un gruppo di studenti: stabiliva un tema, un monte ore complessive ed un tempo determinato e metteva gli studenti in situazione attiva di riflessione e di apprendimento su tematiche varie. Come ho detto io ero una conduttrice (vedo ancora tutte le facce degli altri, ma non ricordo tutti i nomi per cui non li elenco).
Col tempo ho imparato ed usato molto questo modo di lavorare con gli studenti che trovo ancora molto efficace.

L’anno dopo, in forza di una legge appena approvata e pubblicata in gazzetta, chiese ed  ottenne il mio distacco a tempo pieno al Magistero, dove sono rimasta sino a quando, avendo superato il concorso, ho scelto di fare la Direttrice Didattica e di concludere il mio percorso lavorativo in questo ruolo.

Nel 1968 Capitini morì, ma io lavoro ancora con Capitini e ho ancora qualcosa da imparare e da scoprire, utile per affrontare il mio impegno che non so interrompere, sulla formazione dei docenti e degli alunni della fascia 0/11 anni.
La complessità del pensiero di Capitini non è di facile definizione. Comunque io mi dichiaro NON ESPERTA del pensiero di Capitini. Ne colgo invece qualcosa di importante nel tanto di propositivo che contiene che è incalzante, suggestivo, imperativo da costringermi - felice di farlo - a confrontarmi con lui spessissimo ed anche ad avvertire i suoi rimproveri. Capitini è un nonviolento rigorosissimo, lontano dall’immagine sbagliata di un pacifismo quieto. La sua è una lotta nonviolenta perciò sempre vigile: impegno, coraggio, uscire allo scoperto, difesa del proprio punto di vista, ma nel confronto col pensiero altrui.
Cinquant’anni quasi dal mio incontro con lui, il suo messaggio educativo continua a suggerirmi azioni che valgono oggi, come valevano allora, anche se in contesti notevolmente cambiati
NESSUNO SI ESAURISCE NEI LIMITI CHE HA è una delle sue espressioni che utilizzo di più.
Non è una frase ad effetto: è un programma ed una prospettiva di vita. Ne abbiamo parlato insieme io e lui in una delle sue dolorose ultime notti. Non si tratta di avere considerazione umana nei confronti dei “dimezzati” (così appellava le persone in difficoltà permanente e/o temporanee). Non è un atto di pietas. E’ un atto di apertura verso l’umanità. Da ciascuno può arrivare quell’aggiunta all’apertura e all’ascolto per la costruzione della realtà liberata.
Nessuno muore del tutto, anche se scompare. I vivi e i morti In compresenza = umanità.
I vivi, i morti, i futuri.
Lavorare con i nuovi nati nell’arco del tempo della prima e seconda infanzia, come sto continuando a fare da 60 anni, significa per me credere al messaggio capitiniano che scommetteva nella possibilità di un futuro diverso, più aperto perché costruito da generazioni nuove educate a riflettere, a progettate, sperimentare, scommettere, dopo essere state messe in condizioni di vivere esperienze di relazioni nonviolente e coinvolte nel difficile esercizio della nonmenzogna.
A questo neologismo (è tale perché è una sola parola) io dò una grandissima valenza. Trovo che sia uno di quei mezzi per cui, anche i conflitti armati possano essere superati.
L’incorporazione del non con il termine menzogna cambia significato: da proibitivo: non dire bugie, diventa azione: non rubare, è meno impegnativo del suo contrario adoperati perché tutti siano liberati dal bisogno.
Non mentire è meno impegnativo di impegnati a lottare per la realtà liberata dalla nonviolenza ed assumi la responsabilità delle tue azioni.
Nel mio caso è stato ed è ancora: educa l’infanzia abilitandola a sperimentare il valore del dialogo e la forza dell’incontro con l’altro. Proprio nel momento dell’incontro con la storia dell’umanità che è il compito della scuola».
                                                                                                                 Adriana Croci
Perugia, 30 ottobre 2015




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