Pubblico durante il dibattito |
Quello che segue è l’intervento di Adriana Croci sul suo rapporto con Aldo Capitini letto da
Mario Albi durante il dibattito “Capitini, nastri ritrovati”
«Ho lavorato direttamente con Il prof Capitini soltanto due
anni (gli ultimi della sua vita) quando lui ebbe la cattedra di Pedagogia a
Perugia. Ero una maestra di ruolo che aspirava a prendere la laurea per fare
meglio l’ educatrice. Ho sostenuto con lui due dei tre esami di pedagogia
previsti dal mio curricolo.
Dico “lavorato con lui” perché, quasi da subito mi incaricò
di seguire un gruppo di giovani matricole in incontri di riflessione intorno al
testo di Platone LA REPUBBLICA.
Il professore Capitini appena arrivato a Perugia aveva
introdotto i “seminari”. Affidava ad un coordinatore anche esterno al
Magistero, un gruppo di studenti: stabiliva un tema, un monte ore complessive
ed un tempo determinato e metteva gli studenti in situazione attiva di
riflessione e di apprendimento su tematiche varie. Come ho detto io ero una
conduttrice (vedo ancora tutte le facce degli altri, ma non ricordo tutti i
nomi per cui non li elenco).
Col tempo ho imparato ed usato molto questo modo di lavorare
con gli studenti che trovo ancora molto efficace.
L’anno dopo, in forza di una legge appena approvata e
pubblicata in gazzetta, chiese ed
ottenne il mio distacco a tempo pieno al Magistero, dove sono rimasta
sino a quando, avendo superato il concorso, ho scelto di fare la Direttrice
Didattica e di concludere il mio percorso lavorativo in questo ruolo.
Nel 1968 Capitini morì, ma io lavoro ancora con Capitini e ho ancora qualcosa da imparare e
da scoprire, utile per affrontare il mio impegno che non so interrompere, sulla
formazione dei docenti e degli alunni della fascia 0/11 anni.
La complessità del pensiero di Capitini non è di facile
definizione. Comunque io mi dichiaro NON
ESPERTA del pensiero di Capitini. Ne colgo invece qualcosa di importante
nel tanto di propositivo che contiene che è incalzante, suggestivo, imperativo
da costringermi - felice di farlo - a confrontarmi con lui spessissimo ed anche
ad avvertire i suoi rimproveri. Capitini è un nonviolento rigorosissimo,
lontano dall’immagine sbagliata di un pacifismo quieto. La sua è una lotta
nonviolenta perciò sempre vigile: impegno, coraggio, uscire allo scoperto,
difesa del proprio punto di vista, ma nel confronto col pensiero altrui.
Cinquant’anni quasi dal mio incontro con lui, il suo
messaggio educativo continua a suggerirmi azioni
che valgono oggi, come valevano allora, anche se in contesti notevolmente
cambiati
NESSUNO SI ESAURISCE
NEI LIMITI CHE HA è
una delle sue espressioni che utilizzo di più.
Non è una frase ad effetto: è un programma ed una prospettiva
di vita. Ne abbiamo parlato insieme io e lui in una delle sue dolorose ultime
notti. Non si tratta di avere considerazione umana nei confronti dei “dimezzati” (così appellava le persone in
difficoltà permanente e/o temporanee). Non è un atto di pietas. E’ un atto di
apertura verso l’umanità. Da ciascuno può arrivare quell’aggiunta all’apertura e
all’ascolto per la costruzione della realtà liberata.
Nessuno muore del tutto, anche se scompare. I vivi e i morti
In compresenza = umanità.
I vivi, i morti, i futuri.
Lavorare con i nuovi nati nell’arco del tempo della prima e
seconda infanzia, come sto continuando a fare da 60 anni, significa per me
credere al messaggio capitiniano che scommetteva nella possibilità di un futuro
diverso, più aperto perché costruito
da generazioni nuove educate a riflettere, a progettate, sperimentare,
scommettere, dopo essere state messe in condizioni di vivere esperienze di
relazioni nonviolente e coinvolte nel difficile esercizio della nonmenzogna.
A questo neologismo (è tale perché è una sola parola) io dò
una grandissima valenza. Trovo che sia
uno di quei mezzi per cui, anche
i conflitti armati possano essere superati.
L’incorporazione del non con il termine menzogna cambia
significato: da proibitivo: non dire bugie, diventa azione: non
rubare, è meno impegnativo del suo contrario adoperati perché tutti siano
liberati dal bisogno.
Non mentire è meno impegnativo di
impegnati a lottare per la realtà liberata dalla nonviolenza ed assumi la
responsabilità delle tue azioni.
Nel mio caso è stato ed è ancora: educa l’infanzia
abilitandola a sperimentare il valore del dialogo e la forza dell’incontro con
l’altro. Proprio nel momento dell’incontro con la storia dell’umanità che è il
compito della scuola».
Perugia, 30 ottobre 2015
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