lunedì 17 settembre 2012

"Un mondo che fa sembrare stupide le persone buone", di Elisabetta Chiacchella a proposito di "Dio è violent" di Luisa Muraro. Riflessione sulla nonviolenza

Una riflessione sulla nonviolenza tratta dal sito https://cartesensibili.wordpress.com/ a proposito del libro Dio è violent di Luisa Muraro, Nottetempo editore

Un mondo che fa sembrare stupide le persone buone
di Elisabetta Chiacchella
Bisogna partire da qui, da alcune affermazioni che troviamo a p. 21 di Dio è violent di Luisa Muraro: “Nel corpo sociale non scorre più, come energia positiva, il senso di un orientamento condiviso. Sotto i colpi della crisi del 2008 che non passa (…) ci accorgiamo che l’unico orientamento generale lo dava la crescita economica. Scrivo perché ci rendiamo conto di ciò che sta capitando e impariamo a leggere la realtà meglio che possiamo (…). Leggere anche i segni positivi, naturalmente, che è la parte più preziosa e meno facile. Avvengono infatti anche cambiamenti in cui si indovina un orientamento, cioè una via d’uscita da un mondo che fa sembrare stupide le persone buone.”
Grata come sono a Luisa Muraro per il necessario libro che ha scritto, e ad Anna Maria Farabbi per avermi invitato a partecipare a questo confronto di idee, comincio a srotolare il mio ragionamento di persona radicale in politica e amica della nonviolenza nell’azione quotidiana, pubblica e privata.
E’ vero, lo stato è violento. Basta gettare uno sguardo alle carceri italiane e ai continui suicidi di detenuti e guardie carcerarie per capirlo al volo. Basta ricordare le morti infinite nei viaggi della speranza fra le coste della Libia e Lampedusa, morti scaturite anche dallo scellerato accordo d’amicizia italo-libica così caro ai governi italiani, sia recenti che passati. Basta non allontanare la vista dagli anarchici arrestati nel giugno 2012 con l’accusa, tutta da circostanziare, di terrorismo internazionale, guidati da una presunta “cellula perugina”, già resa mostruosa da media indifendibili ben prima che se ne sia indagata l’attendibilità dell’esistenza e si siano accertate le responsabilità delle persone in custodia cautelare.
Lo stato è violento e, come scrive Muraro, abbiamo valide ragioni per negare il nostro consenso allo pseudo-ordine che il potere detiene. La domanda che subito dobbiamo porci allora è con quali mezzi possiamo negarglielo.
La mia risposta diverge da quella indicata da Muraro a p.28: “a chi detiene un potere quale che sia, io non mi presento dichiarando che ho rinunciato all’uso della forza fino alla violenza se necessario.”
Divergo perché subito mi si para davanti il viso di Aung San Suu Kyi e immagino quanto le sia costata, in termini di attesa dichiaratamente nonviolenta, la sua gestazione di democrazia in Birmania. Certo, si sarà arrabbiata, del tutto legittimamente. Ma la rabbia, come in Martin Luther King, esempio citato positivamente da Muraro, anche in lei è divenuta inizialmente forza morale, poi simbolo per il suo popolo, e non solo.
Divergo perché mi sono riletta la lettera scritta, e non spedita, da Elsa Morante alle Brigate Rosse durante il sequestro di Aldo Moro. Riflettendo sulla parola rivoluzione, la scrittrice la definisce come “grande azione popolare al fine di instaurare una società più giusta.”
Trovo convincenti queste sue parole e sono d’accordo anche con il prosieguo della lettera: “Su questa definizione, sono state sventolate troppe bandiere equivoche. E il primo equivoco è stato di scrivere su queste bandiere, il motto nazionale: Il fine giustifica i mezzi. (…) A chi per caso avesse letto i miei ultimi libri, sarebbe nota quale stima io faccia delle società istituite. Ma per quanto inerti e corrotte possano venir giudicate certe società presenti, io mi auguro di non vivere abbastanza per assistere a nuovi totalitarismi”.
La spaventosa crisi economica (con il crollo verticale delle autorità, variamente screditate e considerate parassitarie da moltissima gente) e la disuguaglianza inaccettabile delle condizioni esistenziali dei cittadini potrebbero dare origine oggi a risposte totalitarie da parte dello stato?
Gli scenari presenti mettono i brividi. I nuovi totalitarismi sono solo incubi del passato?
Lascio riecheggiare le domande, fuori e dentro di me; domande a cui non rispondo (con quale risibile attendibilità potrei infatti rispondere?), ma tengo conto di quello che ha dichiarato la ministra dell’interno Cancellieri a proposito dell’opinione di Muraro in Dio è violent: se il cittadino decide di farsi giustizia da solo, c’è il rischio di ricadere nell’uomo provvidenziale che per fermare la violenza impone a tutti le sue scelte con la forza.
Sono prudente, o sono impaurita, nel ricordare la posizione assunta pubblicamente da chi è a capo delle forze dello pseudo-ordine? Non posso giurarci, ma credo che in me prevalga la prudenza, dato che tutti sappiamo come lo stato non possa mai essere messo fuori gioco. Dobbiamo tenere conto delle sue mosse e ricordare che spesso basta l’ombra di una miccia accesa da qualcuno per scatenare selvagge coazioni a reprimere: il G8 di Genova è davanti ai nostri occhi con lo scandalo Diaz e Bolzaneto.
Perciò, sull’onda del prezioso dono di Luisa Muraro, mi sento di concludere esprimendo la mia urgenza. Bisogna che le persone buone e consapevoli, per niente stupide, non collaborino alla propria espulsione dal mondo e disarmino il braccio dello stato. Come?
Tessendo rapporti, rafforzandoli, allargandoli nell’impegno politico di sé. Luisa Muraro ci spiega energicamente che “promuovere l’indipendenza simbolica dal potere” (p.66) è possibile, correggendo un’eredità politica, filosofica, religiosa segnata dal maschile e dalla soggezione femminile al maschile (p.61).
Possiamo tutte e tutti contribuire a cambiare il setting del gioco, agendo in più ambienti possibile, insistendo a creare varie brecce nel contesto. Modificato quello, potranno anche modificarsi le regole del gioco. Bisogna avere pazienza, ancora.
Elisabetta Chiacchella

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