domenica 13 maggio 2012

Alcune considerazioni sul convegno promosso da radicaliperugia "Garante dei detenuti: a che punto siamo. Esperienza a confronto: il caso dell’Umbria" e l'intervento programmato dell'ex direttore del carcere di Terni, Francesco Dell'Aira


Francesco Dell'Aira

Il convegno promosso da radicaliperugia - Giovanni Nuvoli è stato indubbiamente un successo: alla presenza di una sessantina di partecipanti e con la partecipazione della rai e di radio radicale per cui,. cliccando qui , si può riascoltare l'evento, si è parlato della situazione carceraria in Italia con particolare riferimento alla situazione umbra, all'interno della quale si pone la mancanza di rispetto della legge regionale del 2006 che istituisce la figura del garante.Una situazione grave che è stata stigmatizzata da tutti, compreso il vice presidente del consiglio regionale, Damiano Stufara e dal consigliere Fausto Gabanello i quali hanno dato la notizia che proprio nella mattinata di venerdì la maggioranza di palazzo Cesaroni ha deciso di calendarizzare la questione nei lavori del consiglio. Un buon passo in avanti ma dobbiamo stare molto in guardia, perchè le resistenze sono tante compreso quel quorum dei due terzi per l'elezione che comporta il rischio di un fallimento. Stufara ha aggiunto che se non si riesce a trovare un accordo con la minoranza allora verrà proposta una legge per l'abbassamento del quorum. Vedremo. Quello che a noi interessa è che le candidature siamo avanzate nel modo più trasparente possibile, per esempio con la pubblicazione online dei curricula di tutti i candidati. Questo metodo aiuta a spazzare via ogni illazione di gestione partitocratica della nomina del garante e aiuta ad acquisire una maggiore fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, in particolare rispetto a questa figura decisiva per l'umanizzazione della vita nelle realtà carcerarie regionali.
Qui sotto pubblichiamo l'intervento programmato di Francesco Dell'Aira - che ringraziamo molto per la disponiblità - al convegno di venerdì scorso.
Andrea Maori


La  figura  del  Garante: la  situazione in Umbria.

Premessa.

Alla data del 31 marzo 2012  erano presenti negli istituti penitenziari italiani 66.695 detenuti, di cui   2.863 donne con un tasso di affollamento che pone l’Italia al secondo posto in Europa e con un trend in crescita seppure in debole flessione.
Dato numerico significativamente allarmante e che unito all’altro dato che  circa l’80 per cento della popolazione carceraria è costituita dalla cosiddetta detenzione sociale, ovvero da persone che vivono uno stato di svantaggio, disagio o marginalità (immigrati, tossicodipendenti, emarginati) per le quali, più che una risposta penale o carceraria, sarebbero opportune politiche di prevenzione e sociali appropriate, dovrebbe suscitare forti reazioni emotive

Il detenuto è debole tra i deboli. Da qui, la necessità di istituire una figura di intermediazione tra mondo istituzionale e sistema dei diritti civili al fine di ridurre la distanza tra  diritti proclamati e realtà “pratica”.
La strada principale indicata da alcune forze politiche ed associazioni  e riferita alla nomina del garante nazionale darebbe ordine, maggiore autorevolezza e concretezza all’istituto.  
Una autorevole figura di livello nazionale, dotata di poteri ispettivi e di accertamento, potrebbe avere una maggiore capacità di intervento  esaminando le segnalazioni provenienti dai garanti regionali, provinciali e comunali, ma la dimensione operativa più equilibrata continua ad essere quella regionale. Lincardinamento della figura in ambito regionale ben si armonizza con le funzioni già proprie della Regione realizzando un sistema integrato di interventi (funzioni di indirizzo e coordinamento con le ASL, gli enti locali territorialmente competenti  e gli altri soggetti pubblici e privati interessati alle politiche di inclusione e di reinserimento sociale a favore dei detenuti, dei soggetti a misure alternative e sostitutive alla detenzione e degli ex detenuti).

La condizione nazionale.

Si assiste oggi in Italia ad una sempre più forte insofferenza rispetto ai problemi della giustizia, soprattutto per i mali endemici che l’affliggono. Fra questi un impianto complessivo obsoleto, ritardi inaccettabili e non più congrui e insoddisfazione in termini di giustizia sostanziale che non entra nel merito delle questioni e dei risvolti che dall’azione giudiziaria derivano.
A Roma il 25 aprile alla manifestazione a sostegno di un provvedimento di amnistia gli stessi che protestavano (a buona ragione) evidenziando le ingiustizie subite chiedevano che i responsabili fossero individuati e puniti dalla giustizia.
Può apparire una contraddizione in termini se non avessimo una chiave di lettura più ampia che è quella di una giustizia giusta.
Perché ciò sia è necessaria una azione equilibrata e di largo respiro. Soprattutto è necessario che ciascuno provi a fare: con senso reale delle cose, nell’ambito della sua capacità  di fornire un contributo, con il ben chiaro imperativo che non vi è più tempo e che il sistema può implodere perché incapace di funzionare.

La sentenza della Corte Costituzionale 26/99 ha evidenziato come i contenuti dell’articolo 27 c. 3 della Costituzione si traducono “non solo in norme e direttive obbligatorie, ma anche in diritti delle persone detenute”. La pronuncia, prescrivendo l’adozione di una specifica procedura giurisdizionale in merito ai reclami dei detenuti al magistrato di sorveglianza, interveniva a dare concretezza ad una materia, quella appunto dei diritti dei detenuti, caratterizzata da evanescenza e incertezze. La sentenza ha messo in luce la grande lacuna esistente nel sistema delle garanzie di quei diritti delle persone private della libertà - come i diritti alla salute, alle relazioni affettive, alla corrispondenza riservata, alla privacy - che non possono essere disponibili in quanto non è sulla loro compressione che si basa la carcerazione.


La condizione in Umbria.

In Umbria abbiamo due punti fermi estremamente significativi e che consentono di mettere concretamente in sinergia tutte le risorse disponibili veicolando nel modo più efficace le azioni:
1)   il protocollo di intesa tra la Regione Umbria ed il Ministero della Giustizia, siglato a Perugia il 7 marzo 2001.
Basta scorrere l’indice per percepirne l’ampiezza del panorama di intervento che si riferisce (citando in solo indice) a tutte le problematiche sulle quali occorre intervenire:
·         territorializzazione della pena,
·         edilizia,
·         interventi specifici rivolti a particolari situazioni: donne e stranieri,
·         interventi a favore dei minorenni,
·         le comunità per i minori in area penale,
·         esecuzione penale all’esterno,
·         partecipazione del volontariato,
·         formazione ed aggiornamento degli operatori,
·         polizia penitenziaria,
·         tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, all’interno degli istituti,
·         assistenza alle vittime del delitto.
2)   la legge regionale 18 Ottobre 2006, n. 13, recante “Istituzione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale”. La Regione Umbria istituisce un apposito organismo per tutelare i diritti dei soggetti sottoposti a misure limitative della libertà personale. La legge stabilisce, nel testo aggiornato, funzioni e modalità di nomina del Garante.
Abbiamo poi un valore aggiunto nella sensibilità “sociale”, quella rivolta alle persone in difficoltà e che caratterizza le azioni e gli indirizzi di questa Regione.
Si può osservare in modo chiaro come l’impegno, sul versante delle politiche sociali, si sia sempre orientato a privilegiare i temi del  reinserimento sociale e lavorativo e della tutela della salute delle persone detenute, con l’obiettivo di  costruire le condizioni per il reinserimento sociale delle persone detenute ed ex detenute, dando  centralità ai temi dell'educazione, della formazione e del lavoro che si proiettano dalla fase della detenzione a quella dell’uscita dal circuito detentivo.
Sulla base di questi presupposti offro il mio contributo  che vuole sottolineare:
·         intanto la necessità che alle azioni dichiarate seguano quelle operative e quindi che si dia esecuzione completa alle disposizioni normative ed agli accordi stipulati, che è elemento primo per poter seguire una azione programmatica e condivisa.
·         Che si comincino  a sgretolare i luoghi comuni ed i preconcetti che spesso sono solo convinzioni superficiali e non sostenute da più profonda conoscenza ed analisi. Nel concetto comprendo anche la rigidità mentale rispetto alla capacità di  rivedere soluzioni che si sostengono senza averle sufficientemente  condivise né confrontate;
·         Che pertanto le azioni siano legate a processi di conoscenza, dialogo, analisi e soprattutto all’identificazione delle responsabilità all’interno di un processo nel quale si sappia chi fa cosa, ma anche con quali tempi e con quali risultati attesi.
Quali siano  i temi da affrontare, quali le azioni possibili e coordinate alle quali si può fare riferimento  in un ambito di sinergia istituzionalizzata e quale sia il valore aggiunto che possa sostenere la presenza della nuova figura del garante di cui oggi si parla li riassumo in forma assolutamente sintetica e ben consapevole che molti altri tasselli possono aggiungersi all’interno del confronto cui auspico fortemente.

La territorializzazione,

La popolazione  di provenienza o di nascita umbra rappresenta una minoranza rispetto alle persone detenute e presenti in Umbria.
Non è possibile fare una stima realistica per le troppe variabili presenti. Evidente, ad esempio che il luogo di nascita non si associa con quello di residenza e viceversa, pur tuttavia si può sostenere che essendo  i detenuti di origine Umbra meno di 700 in tutta Italia, allora non si comprende una così continua crescita  e localizzazione di istituti penitenziari nella Regione che ha assistito negli ultimi tempi ad un continuo aumento  della popolazione presente che andrà ad attestarsi intorno alle 2.000 unità entro l’estate con l’apertura del nuovo padiglione di Terni.
In aggiunta alle ragioni che hanno preoccupato il legislatore del 1975 e riferite al  tema  delle relazioni familiari del detenuto con la propria famiglia, che sono intuitive, si deve rilevare che la condizione  comporta una serie di costi e di investimenti di risorse notevoli per la Regione.
Quello più  rilevante lo si rinviene nell’assistenza sanitaria, ma non sono di minore conto gli interventi nel campo della formazione professionale e del reinserimento che sono necessariamente rivolti a persone che non resteranno in Umbria e quindi si assiste ad un depauperamento di risorse senza un tangibile ritorno.
La presenza di percentuali vicine al 50% di detenuti stranieri (prevalentemente con riferimenti in altre zone del Paese) li esclude poi da molti dei benefici previsti dalla legge penitenziaria e crea ulteriori sacche di discriminazione.
Tutti coloro che sono privi di un domicilio o della residenza infatti non riescono ad accedere alle misure alternative e ai percorsi terapeutici finalizzati al recupero dei tossicodipendenti o, nei casi di malattia, alla detenzione domiciliare per motivi di salute, perché mancano dei requisiti indispensabili: residenza, documenti di identità, alloggio, sostegno esterno. 
Una stabilizzazione della popolazione detenuta consentirebbe di eliminare continui e deleteri spostamenti che sono grande fonte di dispersione delle risorse.

La composizione della popolazione detenuta in Umbria.

Molto rapidamente, si può aggiungere che  si assiste alla presenza sul territorio di diverse tipologie di detenuti, rispetto al reato, alla condizione ed agli aspetti della sicurezza. Abbiamo così Case circondariali e Case di reclusione dove sono contemporaneamente ristretti detenuti di media sicurezza, di alta sicurezza, detenuti della categoria “protetti”, del circuito 41-bis.
Questo ci interessa perché determina un flusso continuo di familiari  che, come osservato dalle forze dell’ordine, potrebbe costituire un elemento di infiltrazione riflessa che crea problemi di controllo del territorio e di contrasto alla criminalità.
Ragioni tutte che coinvolgono vari aspetti politici e di amministrazione di competenza del territorio.

La sanità,

Un punto critico è anche l’aumento dei detenuti malati.  Sono più numerosi gli anziani e i malati di gravi patologie, o le persone che soffrono di disagio psichico.
Su tale condizione incide anche la riduzione delle possibilità lavorative intramurali e la crisi economica che attraversa il Paese e che ha ridotto le possibilità di spesa dei detenuti. Vi si aggiunge l’azzeramento  dei fondi di bilancio per la fornitura dei generi di pulizia. Ne consegue  che diventa difficile procurarsi il dentifricio, il sapone, lo straccio per pulire il pavimento della cella e la carta igienica. Questa condizione aggrava la condizione igienico sanitaria e produce ulteriore esigenza sanitaria. Si sono riscoperte malattie ormai ritenute debellate. Uno screening infettivologico sulla popolazione detenuta in ingresso, ha fatto emergere un quadro preoccupante per il numero di infettati dal virus delle Epatiti B e C, Sifilide, contagio da HIV, TBC e altre malattie infettive sulle quali occorre intervenire. La strategia preventiva richiede risorse ed occorre fare poi conto con il fatto che alcune di queste malattie sono ad alto rischio di contagio, come l’Epatite B reattiva.
Nel nuovo istituto di Capanne non è stato più realizzato il Centro clinico esistente invece nel vecchio istituto. Questo comporta per l’Amministrazione penitenziaria un aumento dei costi riferiti al trasferimento e piantonamento in ospedale e la conseguente la richiesta alla Regione di ristrutturazione di spazi da convertire in strutture detentive ospedaliere.
Le ridotte disponibilità economiche rendono difficile persino l’invio dei tossicodipendenti in comunità terapeutiche, peraltro previsto dalle leggi vigenti, con conseguente aumento delle carcerazioni dei detenuti tossicodipendenti, sia nel tempo che nel numero.

Ricerca di finanziamenti e risorse.

In termini di risorse  ci si riferisce a quelle esistenti cui si può dare maggiore impulso ed altre nuove.
Fra le prime l’Osservatorio regionale sulla condizione  penitenziarie e post-penitenziaria che ha  il compito di promuovere l’acquisizione e la diffusione di conoscenze sulla condizione della detenzione e sui fenomeni sociali che la determinano, nonché sulle possibilità di reinserimento sociale. L’obiettivo dell’Osservatorio è quello di avere un quadro sulla situazione carceraria in Umbria e di individuare i problemi e le risorse formali ed informali del territorio. Gestione di sportelli informativi e di orientamento ai servizi per detenuti presenti negli istituti di pena della Regione, informazione e consulenza legale, accompagnamento nei permessi premio, gestione di una casa di accoglienza, ideazione e realizzazione di concreti percorsi di reinserimento socio- lavorativo, corsi di formazione.
Rispetto alle seconde mi riferisco, fra le tante alle due principali associazioni di livello internazionale quali il LIONS ed il ROTARY.
Di recente, utilizzando la mia esperienza ed il profondo interesse che ancora mi appartiene, abbiamo realizzato varie esperienze negli istituti di Terni e di Spoleto, per ora limitate a conferenze all’interno degli istituti ed a dare visibilità al mondo penitenziario, ma la capacità organizzativa di tali associazioni potrebbe utilmente essere convogliata in services  di più ampia portata e quindi ad interventi strutturati.
Esistono poi le fondazioni, le associazioni di categoria alle quali si possono presentare specifici progetti che interessano i temi che qui si trattano.
Ulteriore finanziamento di strategie progettuali si riferisce all’accesso ai fondi della Cassa delle Ammende. I progetti possono essere presentati da soggetti accreditati o dalle strutture penitenziarie. La più completa visione del livello regionale può articolare meglio e compiutamente progetti di più alto profilo in una direzione organica e continuativa.
Tutti conoscerete le esperienze riferite all’attività agricola dell’istituto di Capanne, la panetteria/pasticceria di Terni, la grande falegnameria e tipografia di Spoleto, la tessitoria di Orvieto. Attività diversificate che sostengono ancora la necessità di un dialogo ed una programmazione di più alto profilo.
Gli ampi spazi di cui dispone l’istituto penitenziario sono poi utilizzabili per progetti di localizzazione di alcune attività imprenditoriali incentivate dalla possibilità di minori adempimenti amministrativi e dai minori costi di impianto dovuti alla concessione pressoché  gratuita delle superfici impegnate. Il beneficio reciproco consente approcci lavorativi con la popolazione detenuta. Un piccolo esempio è stato realizzato a Terni dove esiste un centro di raccolta degli oli alimentari esausti.
Altro filone tutto la utilizzare è quello del project financing, la finanza di progetto, cioè utilizzare fondi privati per realizzare opere pubbliche. Il sistema consente di dare benefici ad entrambe le parti. E’ una strategia innovativa cui si tende.

Conclusioni.

Siamo in presenza di un continuo abbassamento del livello di intervento in termini di risocializzazione e di trattamento nonostante l’imperativo costituzionale.
In tutta Italia (e l’Umbria rispetta sostanzialmente la tendenza) le attività lavorative intramurali si sono ridotte ai minimi storici e solo il 20% dei detenuti svolge una attività lavorativa part-time (alcuni anche 1 ora al giorno). Poco più di 800 detenuti sono comunque impiegati in attività produttive (industriali o agricole), tutti gli altri in lavori domestici, togliendo così alla principale azione trattamentale ogni ragione di carattere educativo.
Le attività di tempo libero e culturali risentono dell’azzeramento delle risorse pubbliche. Il personale comincia a dare segni di sconforto rilevando sensazioni di impotenza. Molto è ormai affidato e spesso delegato al volontariato che ha aggiunto alle sue tradizionali attività di sostegno anche la gestione di punti di ascolto e di fornitura dei generi di prima necessità a carattere del singolo, ma a volta della struttura.
In questo contesto occorre quindi analizzare la figura del Garante che nasce  dalla necessità di garantire un rapporto di trasparenza e correttezza tra tutte le pubbliche amministrazioni e/o soggetti concessionari di pubblici servizi o convenzionati con enti pubblici e che può essere strumento di richiamo o di facilitazione in una azione di attrazione delle forze del volontariato e del privato sociale che, a vario titolo, interagiscono con l’amministrazione penitenziaria e i detenuti e gli internati o chi si trova comunque in condizioni, anche provvisorie, di restrizione della libertà personale.
E’ previsto in quasi tutti i paesi europei e, nell’esperienza italiana, pur in dimensioni regionali  o comunali, si è dimostrato perfettamente in linea con gli obiettivi ed in alcuni casi si è spinto a promuovere una legislazione regionale che recepisca le specifiche difficoltà insite nell’esecuzione penale. In Sicilia, ad esempio, è stata approvata una legge che ammette a finanziamento la creazione di piccola impresa. 
Occorre dunque lavorare in questa direzione realizzando una maggiore integrazione tra le strutture di dentro e quelle di fuori. Il lavoro di rete costituisce una risorsa in più anche per le positive collaborazioni che ne possono nascere, soprattutto in tempi di crisi e di mancanza di fondi e di personale. Il collegamento tra servizi  interni al penitenziario e servizi  territoriali è il primo modo per sviluppare maggiore progettualità, finalizzata al raggiungimento di un positivo reinserimento.
Auspico quindi che si dia esecuzione alla legge nominando quella figura che deve avere, a mio parere, soprattutto  capacità manageriali per tracciare l’analisi delle questioni e le proposte operative di soluzione, che  sia equidistante dai soggetti assumendo una posizione di equilibrio, che possieda le caratteristiche previste dalla legge e quindi  di conoscenza profonda dell’ambiente nel quale si muove. Che abbia autorevolezza istituzionale e credibilità personale, che abbia stimoli sufficienti ad affrontare in un contesto programmatico organico tutte le questioni indicate nel protocollo del 21 marzo 200l e che vanno dalle ragioni del reato, all’esecuzione penale, al personale, al volontariato, fino alle vittime del delitto.

Dott. Francesco Dell’Aira
(già direttore della Casa Circondariale di Terni).

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