lunedì 17 ottobre 2011

"La piazza e i nerovestiti" di Adriano Sofri

[caption id="attachment_1755" align="alignleft" width="150" caption="alla ricerca della verità. Poliziotti e black block comprano le scarpe nello stesso negozio?"][/caption]

di Adriano Sofri da La Repubblica del 17 ottobre 2011

1. Il governatore Draghi ha detto due cose ottime. Prima, che i giovani arrabbiati hanno ragione. Dopo, che è stato un peccato. Draghi era diventato l´avversario principale della manifestazione, lui e Trichet e la lettera di istruzioni. Che ha precetti insopportabili, e un orizzonte assai discutibile. Però fa le veci di un inesistente governo politico e dunque economico europeo.
La Bce sta all´economia italiana come la Procura di Milano stette alla politica. Piuttosto sbrigativamente, il “movimento” ha fatto di un´estrema ipotesi – l´uscita dall´euro e la disdetta del debito – addirittura uno slogan. Rivendicando di fatto la restituzione della politica confiscata dalla finanza agli Stati e ai governi nazionali: prospettiva tristissima. Magari la “confisca” delle scelte nazionali avvenisse ad opera di un governo federale europeo. Il quale, nonostante i passi indietro e le frustrazioni per la supplenza della Bce, deve restare l´obiettivo di un´alternativa alla crisi e allo scioglilingua della crescita. È un peccato – come direbbe Draghi – che nelle sinistre ereditarie e in nuovi lanciatori di sassi torni ogni volta il riflesso condizionato delle sovranità statali: che si tratti del diritto internazionale o della invadenza finanziaria.2. La plastica citazione dell´estintore, il crocifisso decapitato: mancava solo l´assalto a una chiesa copta. Ogni volta che una grande manifestazione viene sequestrata da riti compiaciuti di violenza, mi devo ricordare d´esser stato lanciatore di sassi. È solo un caso di vecchiaia, o è cambiato anche qualcos´altro? Mi pare di sì. Intanto, l´attenzione alla nonviolenza, o almeno l´appannamento del fascino della violenza, qui e nel mondo. Si sono prese distanze, a volte maramaldesche, spesso rispettose e sofferte, da intere tradizioni combattenti: hanno giocato fortemente il femminismo e la scoperta dell´agonia del pianeta. Che la ribellione che scuote i paesi arabi, a un costo spaventoso, abbia preso la strada della nonviolenza, è una meraviglia imprevista, qualunque infamia prenda il ritorno all´ordine. Anche la ribellione negli Stati Uniti, che emula quella degli anni ´60, ma con un presidente nero e senza un Vietnam da cui disertare. Da noi, c´è un pensiero che a chiunque della vecchia generazione gira per la testa, sia che lo esorcizzi sia che ci rimugini: che se il contesto internazionale, la politica e le forze di polizia fossero quelle degli anni´70 – cominciati in realtà con una strage di Stato nel 1969 e finiti molto più tardi – una consunzione di governo come quella dell´Italia di oggi avrebbe già sperimentato sangue e colpi di mano. Che questo non sia successo – non ancora, per scongiuro – dipende da tanti fattori, ma anche da un cambiamento nelle forze dell´ordine. Le quali diedero una complessiva orribile prova di sé, e della loro guida politica, dieci anni fa a Genova; e loro gruppi e membri, in circostanze più quotidiane, si rendono responsabili di crimini e soperchierie. Si riparlava ieri della morte in caserma del giovane Giuseppe Uva, per la tenacia di una sorella, come per Stefano Cucchi. Tuttavia la polizia, le polizie, sono diverse. E sono diversi i giovani che si trovano di fronte. È più difficile descrivere gli uni come figli di papà col capriccio della violenza e gli altri come figli del popolo votati all´obbedienza cieca. Però, temo – parliamo di cose mal conosciute, perché la società si è fatta opaca e straniera a se stessa – a questi cambiamenti non ha corrisposto un cambiamento adeguato di mentalità e sentimenti. I “guastatori nerovestiti” (così li chiamava ieri il Manifesto, oscillando fra questa definizione e altre più cattivanti) sembrano persone che hanno deciso che impiego fare del proprio tempo e delle proprie mani, puntuali agli appuntamenti altrui. Non sono affare di dialogo, non nel breve periodo, comunque: andranno a finire da qualche parte, e speriamo che non sia la parte peggiore. Tutt´al più, conviene riconoscere che non sono così pochi come ci piacerebbe. E che centinaia di giovani attrezzati, e figuriamoci migliaia, sono in grado di far deragliare qualunque corteo pacifico, e tanto più quanto più grande è la partecipazione a quel corteo, come a Roma. La questione vera è nella moltitudine di ragazze e ragazzi giovanissimi, delle scuole più che dell´università, che la sismologia della crisi spinge nelle strade e che sono soli, devono inventarsi o prendere in prestito idee drastiche – che non eccedano la lunghezza di uno striscione – e imparano che almeno un punto fermo c´è: lo scontro con la polizia, ineluttabile e nobile, un´iniziazione. Può servire uno stadio o la piazza, magari passando con la stessa divisa dagli stadi alle piazze. Questo è un punto cruciale. Lo scorso 14 dicembre romano, gli scontri furono intensi e rabbiosi come uno sfogo, e furono essenzialmente l´azione spontanea di questi ragazzi. Sbaglia chi assimila le due giornate. Al contrario, il 15 ottobre ha esposto molti di quei ragazzi all´arruolamento dei sottufficiali di carriera nerovestiti, perché bisogna avere argomenti forti per dissociarsi quando la bagarre si scatena, e le cariche non distinguono: e soprattutto un argomento fortissimo, che battersi contro la polizia non è un dovere morale, né una prova di sé.
3. Corollario inevitabile. Le manifestazioni hanno bisogno di tutelarsi, e dunque di avere un servizio d´ordine. Ma i servizi d´ordine non sono la soluzione, solo un suo ingrediente. I servizi d´ordine che si illudano di essere autosufficienti diventano incubatori di violenza concorrente con quella che vogliono sventare. Non c´è niente di peggio di una polizia parallela. Le manifestazioni non possono tutelarsi da disastri simili che con l´accordo fra manifestanti e polizia. Questo avviene, più o meno ipocritamente, ed è avvenuto anche alla vigilia di sabato, ma non abbastanza e non bene, evidentemente. Non me ne intendo, ma concordare lo svolgimento di manifestazioni che si vogliono libere e nonviolente senza ipocrisia vuol dire assegnare agli uni e agli altri la responsabilità che spetta loro. E ostacolare l´impiego strumentale della polizia per convenienze come l´allarme suscitato dalla violenza e le accuse mosse agli avversari politici. Anche la polizia non può risolvere da sola una violenza come quella di sabato (quando pure non sia lei a provocarla): tanto più se miri a non farci scappare il morto. E il morto, sabato, sarebbe stato un carabiniere, se non fosse scappato.
4. Ultimo punto. Ormai il rapporto fra politica di professione e “movimento”, cioè movimenti, è diventato un capitolo della separazione fra garantiti e precari: quelli che di politica vivono, e stentano sempre più (ammesso che ci provino) a “infiltrarsi”, come dovrebbero, nei movimenti; e quelli che non hanno di che vivere o poco, e ne nutrono la propria politica. Topi di città e di campagna, che non si incontrano. I secondi pensano di ricominciare da zero. I primi pensano per lo più che i movimenti passano, gli assessori restano. Possono avere brutte sorprese

 

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