mercoledì 11 febbraio 2009

Oggi è l'11 febbraio, 80° anniversario della firma dei Patti Lateranensi, cioè della capitolazione dello Stato alla chiesa cattolica

Antonio GramsciOggi, 11 febbraio, è l'anniversario della capitolazione dello Stato alla chiesa cattolica, per la stipula dei Patti Lateranensi avvenuta nel 1929. Riproponiamo qui sotto, tratto dal sito www.radioradicale.it un testo che scrisse Antonio Gramsci sul concordato - ripreso da Prova Radicale nel 1973 - per dimostrare quanto miope fu quella decisione. Per Antonio Gramsci, col Concordato “la Chiesa… si impegna verso una determinata forma di governo… di promuovere quel consenso d una parte dei governanti che lo Stato esplicitamente riconosce di non poter ottenere con mezzi propri…”. "Quando incominciarono le trattative per il Concordato? Il discorso del 1· gennaio 1926 (1) si riferiva al Concordato? Le trattative dovettero avere fasi varie, di maggiore o minore ufficiosità, prima di entrare nella fase ufficiale, diplomatica: perciò l’inizio di esse può essere spostato ed è naturale la tendenza a spostarlo per farne apparire più rapido il decorso. Nella “Civiltà cattolica” del 19 dicembre 1931 a p. 548 (2) si dice: “in fine rievoca fedelmente la storia delle trattative che dal 1926 si protrassero fino all’anno 1929”.

Concordati e trattati internazionali.

La capitolazione dello Stato moderno che si verifica per i concordati viene mascherata identificando verbalmente concordati e trattati internazionali. Ma un concordato non è un comune trattato internazionale: nel concordato si realizza di fatto una interferenza di sovranità in un solo territorio statale, poiché tutti gli articoli di un concordato si riferiscono ai cittadini di uno solo degli Stati contrattanti, sui quali il potere sovrano di uno Stato estero giustifica e rivendica determinati diritti e poteri di giurisdizione (sia pure di una speciale determinata giurisdizione). Che poteri ha acquistato il Reich sulla Città del Vaticano in virtù del recente Concordato? (3). E ancora la fondazione della Città del Vaticano dà un’apparenza di legittimità alla finzione giuridica che il Concordato sia un comune trattato internazionale bilaterale. Ma si stipulavano concordati anche prima che la Città del Vaticano esistesse, ciò che significa che il territorio non è essenziale per l’autorità pontificia (almeno da q

uesto punto di vista). Un’apparenza, perché mentre il concordato limita l’autorità statale di una parte contraente, nel suo proprio territorio, e influisce e determina la sua legislazione e la sua amministrazione, nessuna limitazione è accennata per il territorio dell’altra parte: se limitazione esiste per quest’altra parte, essa si riferisce all’attività svolta nel territorio del primo Stato, sia da parte dei cittadini della Città del Vaticano sia dei cittadini dell’altro Stato che si fanno rappresentare dalla Città del Vaticano. Il Concordato è dunque il riconoscimento esplicito di una doppia sovranità in uno stesso territorio statale. Non si tratta certo più della stessa forma di sovranità supernazionale (suzeraineté), quale era formalmente riconosciuta al papa nel medioevo, fino alle monarchie assolute e in altra forma anche dopo, fino al 1848; ma ne è una derivazione necessaria di compromesso.

D’altronde, anche nei periodi più splendidi del papato e del suo potere supernazionale, le cose non andarono sempre molto lisce: la supremazia papale, anche se riconosciuta giuridicamente, era contrastata di fatto in modo spesso molto aspro e, nell’ipotesi più ottimistica, si riduceva ai privilegi politici, economici e fiscali dell’episcopato dei singoli paesi.

I Concordati intaccano in modo essenziale il carattere di autonomia della sovranità dello Stato moderno. Lo Stato ottiene una contropartita? Certamente, ma la ottiene nel suo stesso territorio per ciò che riguarda i suoi stessi cittadini. Lo Stato ottiene (e in questo caso occorrerebbe dire meglio il governo) che la Chiesa non intralci l’esercizio del potere, ma anzi lo favorisca e lo sostenga, così come una stampella sostiene un invalido. La Chiesa, cioè si impegna verso una determinata forma di governo (che è determinata dall’esterno, come documenta lo stesso Concordato) di promuovere quel consenso di una parte dei governati che lo Stato esplicitamente riconosce di non poter ottenere con mezzi propri: ecco in che consiste la capitolazione dello Stato, perché di fatto esso accetta la tutela di una sovranità esteriore di cui praticamente riconosce la superiorità. La stessa parola “concordato” è sintomatica…

Gli articoli pubblicati nei “Nuovi studi” sul Concordato sono tra i più interessanti e si prestano più facilmente alla confutazione. (Ricordare il “trattato” subìto dalla repubblica democratica georgiana dopo la sconfitta del generale Denìkin)(4).

Ma anche nel mondo moderno, cosa significa praticamente la situazione creata in uno Stato dalle stipulazioni concordatarie? Significa il riconoscimento pubblico ad una casta di cittadini dello stesso Stato di determinati privilegi politici. La forma non è più quella medioevale, ma la sostanza è la stessa. Nello sviluppo della storia moderna, quella casta aveva visto attaccato e distrutto un monopolio di funzione sociale che spiegava e giustificava la sua esistenza, il monopolio della cultura e dell’educazione. Il concordato riconosce nuovamente questo monopolio, sia pure attenuato e controllato, poiché assicura alla casta posizioni e condizioni preliminari che con le sole sue forze, con l’intrinseca adesione della sua concezione del mondo alla realtà effettuale, non potrebbe mantenere e avere.

S’intende quindi la lotta sorda e sordida degli intellettuali laici e laicisti contro gli intellettuali di casta, per salvare la loro autonomia e la loro funzione. Ma è innegabile la loro intrinseca capitolazione e il loro distacco dallo Stato. Il carattere etico di uno Stato concreto, di un determinato Stato, è definito dalla sua legislazione in atto e non dalle polemiche dei franchi tiratori della cultura. Se questi affermano: “Lo Stato siamo noi”, essi affermano solo che il così detto Stato unitario è solo appunto “così detto”, perché di fatto nel suo seno esiste una scissione molto grave, tanto più grave in quanto è affermata implicitamente dagli stessi legislatori e governanti i quali infatti dicono che lo Stato è nello stesso tempo due cose: quello delle leggi scritte e applicate e quello delle coscienze che intimamente non riconoscono quelle leggi come efficienti e cercano sordidamente di svuotarle (o almeno limitarle nell’applicazione) di contenuto etico. Si tratta di un machiavellismo da piccol

i politicanti; i filosofi dell’idealismo attuale, specialmente della sezione pappagalli ammaestrati dei “Nuovi studi”, si possono dire le più illustri vittime del machiavellismo. E’ utile da studiare la divisione del lavoro che si cerca di stabilire tra la casta e gli intellettuali laici: alla prima viene lasciata la formazione intellettuale e morale dei giovanissimi (scuole elementari e medie), agli altri lo sviluppo ulteriore del giovane nell’università. Ma la scuola universitaria non è sottoposta allo stesso regime di monopolio a cui invece sottostà la scuola elementare e media. Esiste l’Università del Sacro Cuore e potranno essere organizzate altre università cattoliche equiparate in tutto alle altre università statali. Le conseguenze sono ovvie: la scuola elementare e media è la scuola popolare e della piccola borghesia, strati sociali che sono monopolizzati educativamente dalla casta, poiché la maggioranza dei loro elementi non giungono all’università, cioè non conosceranno l’educazione moderna nella s

ua fase superiore critico-storica, ma solo conosceranno l’educazione dogmatica.

L’università è la scuola della classe (e del personale) dirigente in proprio, è il meccanismo attraverso il quale avviene la selezione degli individui delle altre classi da incorporare nel personale governativo, amministrativo, dirigente. Ma con l’esistenza a parità di condizioni di università cattoliche anche la formazione di questo personale non sarà più unitaria e omogenea. Non solo, ma la casta, nelle università proprie, realizzerà una concentrazione di cultura laico-religiosa, quale da molti decenni non si vedeva più e si troverà di fatto in condizioni molto migliori della concentrazione laico-statale. Non è infatti lontanamente paragonabile l’efficienza della Chiesa che sta tutta come un blocco a sostegno della propria università, con l’efficienza organizzativa della cultura laica. Se lo Stato (anche nel senso più vasto di società civile) non si esprime in una organizzazione culturale secondo un piano centralizzato e non può neanche farlo, perché la sua legislazione in materia religiosa è quella c

he è, e la sua equivocità non può non essere favorevole alla Chiesa, data la massiccia struttura di questa e il peso relativo e assoluto che da tale struttura omogenea si esprime, e se i titoli dei due tipi di università sono equiparati, è evidente che si formerà la tendenza a che le università cattoliche siano esse il meccanismo selettivo degli elementi più intelligenti e capaci delle classi inferiori da immettere nel personale dirigente.

Favoriranno questa tendenza: il fatto che non c’è discontinuità educativa tra le scuole medie e l’università cattolica, mentre tale discontinuità esiste per le università laico-statali; il fatto che la Chiesa, in tutta la sua struttura, è già attrezzata per questo lavoro di elaborazione e selezione dal basso. La Chiesa, da questo punto di vista, è un organismo perfettamente democratico (in senso paternalistico): il figlio di un contadino o di un artigiano, se intelligente e capace, e se duttile abbastanza da lasciarsi assimilare dalla struttura ecclesiastica e per sentirne il particolare spirito di corpo e di conservazione e la validità degli interessi presenti e futuri, può, teoricamente, diventare cardinale e papa. Se nell’alta gerarchia ecclesiastica l’origine democratica è meno frequente di quanto potrebbe essere, ciò avviene per ragioni complesse, in cui solo parzialmente incide la pressione delle grandi famiglie aristocratiche cattoliche o la ragione di Stato (internazionale); una ragione molto fo

rte è questa: che molti seminari sono assai male attrezzati e non possono educare compiutamente il popolano intelligente, mentre il giovane aristocratico dal suo stesso ambiente familiare riceve senza sforzo di apprendimento una serie di attitudini e di qualità che sono di primo ordine per la sua carriera ecclesiastica: la tranquilla sicurezza della propria dignità e autorità, e l’arte di trattare e governare gli altri.

Una ragione di debolezza della Chiesa nel passato consisteva in ciò: che la religione dava scarse possibilità di carriera, all’infuori della carriera ecclesiastica, il clero stesso era deteriorato qualitativamente dalle “scarse vocazioni”, o dalle vocazioni di soli elementi intellettualmente subalterni. Questa crisi era già molto visibile prima della guerra; era un aspetto della crisi generale delle carriere a reddito fisso con organici lenti e pesanti, cioè dell’inquietudine sociale dello stato intellettuale subalterno (maestri, insegnanti medi, preti, ecc.) in cui operava la concorrenza delle professioni legate allo sviluppo dell’industria e dell’organizzazione privata capitalistica in generale (giornalismo, per esempio, che assorbe molti insegnanti, ecc.). Era già incominciata l’invasione delle scuole magistrali e delle università da parte delle donne e delle donne dei preti, ai quali la curia (dopo le leggi Credaro) (5) non poteva proibire di procurarsi un titolo pubblico che permettesse di concorre

re anche a impieghi di Stato e aumentare così la “finanza” individuale. Molti di questi preti, appena ottenuto il titolo pubblico, abbandonarono la Chiesa (durante la guerra, per la mobilitazione e il contatto con ambienti di vita meno soffocati e angusti di quelli ecclesiastici, questo fenomeno acquistò una certa ampiezza).

L’organizzazione ecclesiastica subiva dunque una crisi costituzionale che poteva essere fatale alla sua potenza, se lo Stato avesse mantenuto integra la sua posizione di laicità, anche senza bisogno di una lotta attiva. Nella lotta tra le forme di vita, la Chiesa stava per perire automaticamente, per esaurimento proprio. Lo Stato salvò la Chiesa.

Le condizioni economiche del clero furono migliorate a più riprese, mentre il tenore di vita generale, ma specialmente dei ceti medi, peggiorava. Il miglioramento è stato tale che le “vocazioni” si sono meravigliosamente moltiplicate, impressionando lo stesso pontefice, che le spiegava appunto con la nuova situazione economica. La base della scelta degli idonei al clericato è stata quindi ampliata, permettendo più rigore e maggiori esigenze culturali. Ma la carriera ecclesiastica, se è il fondamento più solido della potenza vaticana, non esaurisce le sue possibilità. La nuova struttura scolastica permette l’immissione nel personale dirigente laico di cellule cattoliche che andranno sempre più rafforzandosi, di elementi che dovranno la loro posizione solamente alla Chiesa. E’ da pensare che l’infiltrazione clericale nella compagine dello Stato sia per aumentare progressivamente, poiché nell’arte di selezionare gli individui e di tenerli permanentemente a sé legati la Chiesa è quasi imbattibile. Controlla

ndo i licei e le altre scuole medie, attraverso i suoi fiduciari, essa seguirà, con la tenacia che le è caratteristica, i giovani più valenti delle classi povere e li aiuterà a proseguire gli studi nelle università cattoliche. Borse di studio sussidiate da convitti, organizzati con la massima economia, accanto alle università, permetteranno questa azione.

La Chiesa, nella sua fase odierna, con l’impulso dato dall’attuale pontefice all’Azione cattolica, non può accontentarsi solo di creare preti; essa vuole permeare lo Stato (ricordare la teoria del governo indiretto elaborata dal Bellarmino) (6) e perciò sono necessari i laici, è necessaria una concentrazione di cultura cattolica rappresentata da laici. Molte personalità possono diventare ausiliari della Chiesa più preziosi come professori di università, come alti funzionari dell’amministrazione, ecc., che come cardinali o vescovi.

Allargata la base di scelta delle “vocazioni”, una tale attività laico-culturale Ha grandi possibilità di estendersi. L’università del Sacro Cuore e il centro neoscolastico (7) sono le prime cellule di questo lavoro. E’ intanto stato sintomatico il congresso filosofico del 1929 (8): vi si scontrarono idealisti attuali e neoscolastici e questi parteciparono al congresso animati da spirito battagliero di conquista. Il gruppo neoscolastico, dopo il Concordato, voleva appunto apparire battagliero, sicuro di sé per interessare i giovani. Occorre tener conto che una delle forze dei cattolici consiste in ciò che essi s’infischiano delle “confutazioni perentorie” dei loro avversari non cattolici: la tesi confutata essi la riprendono imperturbati e come se nulla fosse. Il “disinteresse” intellettuale, la lealtà e onestà scientifica, essi non le capiscono o le capiscono come debolezza e dabbenaggine degli altri. Essi contano sulla potenza della loro organizzazione mondiale che si impone come fosse una prova di ve

rità, e sul fatto che la grande maggioranza della popolazione non è ancora “moderna”, è ancora tolemaica (9) come concezione del mondo e della scienza.

Se lo Stato rinunzia a essere centro attivo e permanentemente attivo di una cultura propria, autonoma, la Chiesa non può che trionfare sostanzialmente. Ma lo Stato non solo non interviene come centro autonomo, ma distrugge ogni oppositore della Chiesa che abbia la capacità di limitarne il dominio spirituale sulle moltitudini. Si può prevedere che le conseguenze di una tale situazione di fatto, restando immutato il quadro generale delle circostanze, possono essere della massima importanza..

La Chiesa è uno Shylock (10) anche più implacabile dello Shylock shakespeariano: essa vorrà la sua libbra di carne, anche a costo di dissanguare la sua vittima e con tenacia, mutando continuamente i suoi metodi, tenderà a raggiungere il suo programma massimo. Secondo l’espressione di Disraeli (11): “i cristiani sono gli ebrei più intelligenti, che hanno capito come occorreva fare per conquistare il mondo”.

La Chiesa non può essere ridotta alla sua forza “normale” con la confutazione in sede filosofica dei suoi postulati teorici e con le affermazioni platoniche di una autonomia statale (che non sia militante); ma solo con l’azione pratica quotidiana, con l’esaltazione delle forze umane creatrici in tutta l’area sociale.

Un aspetto della questione che occorre ben valutare è quello delle possibilità finanziarie del Centro vaticano. La organizzazione sempre più in sviluppo del cattolicesimo negli Stati Uniti da la possibilità di raccogliere fondi molto vistosi, oltre alle rendite normali ormai assicurate (che però nel 1937 diminuiranno di quindici milioni all’anno per la conversione del debito pubblico dal 5% al 3,50%) e all’obolo di S.Pietro. Potrebbero nascere questioni internazionali a proposito dell’intervento della Chiesa negli affari interni dei singoli paesi, con lo Stato che sussidia permanentemente la Chiesa? La questione è elegante, come si dice. La questione finanziaria rende molto interessante il problema della così detta indissolubilità tra trattato e Concordato proclamata dal pontefice. Ammesso che il papa si trovasse nella necessità di ricorrere a questo mezzo politico di pressione sullo Stato, non si porrebbe subito il problema della restituzione delle somme riscosse (che sono legate appunto al trattato e

non al Concordato)? Ma esse sono così ingenti ed è pensabile che saranno state spese in gran parte nei primi anni, che la loro restituzione può ritenersi praticamente impossibile. Nessuno Stato potrebbe fare un così gran prestito al pontefice per trarlo d’imbarazzo, e tanto meno un privato o una banca. La denunzia del trattato scatenerebbe una tale crisi nell’organizzazione pratica della Chiesa, che la solvibilità di questa, sia pure a grande scadenza, sarebbe annientata. La convenzione finanziaria annessa al trattato (12) deve essere pertanto considerata come la parte essenziale del trattato stesso, come la garanzia di una quasi impossibilità di denunzia del trattato, prospettata per ragioni polemiche e di pressione politica.

Brano di lettera di Leone XIII a Francesco Giuseppe (13). “E non taceremo, che in mezzo a tali impacci. Ci manca pure il modo di sopperire del proprio alle incessanti e molteplici esigenze materiali, inerenti al governo della Chiesa. Vero è che ne vengono in soccorso le offerte spontanee della carità; ma ci sta sempre innanzi con rammarico il pensiero che esse tornano di aggravio ai Nostri figli, e d’altra parte non si deve pretendere che inesauribile sia la carità pubblica”. “Del proprio” significa: “riscosse con imposte” dai cittadini di uno Stato pontificio, per i cui sacrifizi non si prova rammarico, a quanto pare; sembra naturale che le popolazioni italiane paghino le spese della Chiesa universale.

Sul Concordato è anche da vedere il libro di Vincenzo Morello, “Il conflitto dopo la Conciliazione” (14) e la risposta di Egilberto Martire, “Ragioni della Conciliazione” (15). Sulla polemica Morello-Martire è da vedere l’articolo firmato “Novus” nella Critica fascista del 1· febbraio 1933 (“Una polemica sulla Conciliazione). Il morello pone in rilievo quei punti del Concordato in cui lo Stato è venuto meno a se stesso, ha abdicato alla sua sovranità, non solo, ma, pare, mette anche in rilievo come in alcuni punti le concessioni fatte alla Chiesa siano più ampie di quelle fatte ad altri paesi concordatari. I punti controversi sono principalmente quattro: 1) il matrimonio: per l’articolo 43 del concordato il matrimonio (16) è disciplinato dal diritto canonico, cioè viene applicato nell’ambito statale un diritto ad esso estraneo. Per esso i cattolici, in base a un diritto estraneo allo Stato, possono avere annullato il matrimonio, a differenza dei non-cattolici, mentre “l’essere o non essere cattolici” do

vrebbe “essere irrilevante agli effetti civili”; 2) per l’art. 5 comma terzo, c’è l’interdizione da alcuni uffici pubblici per i sacerdoti apostati o irretiti da censura, cioè si applica una “pena” del codice penale a persone che non hanno commesso, di fronte allo Stato, nessun reato punibile; l’art. 1 del codice vuole invece che nessun cittadino possa essere punito se non per un fatto espressamente preveduto dalla legge penale come reato; 3) per il Morello non si vede quali siano le ragioni di utilità per cui lo Stato ha fatto tabula rasa delle leggi eversive (17), riconoscendo agli enti ecclesiastici e ordini religiosi l’esistenza giuridica, la facoltà di possedere e amministrare i propri beni; 4) insegnamento (18): esclusione recisa e totale dello Stato dalle scuole ecclesiastiche, e non già solo da quelle che preparano tecnicamente i sacerdoti (cioè esclusione del controllo statale dall’insegnamento della teologia, ecc.), ma da quelle dedicate all’insegnamento generale. L’art. 39 del Concordato si riferi

sce infatti anche alle scuole elementari e medie tenute dal clero in molti seminari, collegi e conventi, delle quali il clero si serve per attrarre fanciulli e giovanetti al sacerdozio e alla vita monastica, ma che in sé non sono ancora specializzate. Questi alunni dovrebbero aver diritto alla tutela dello Stato. Pare che in altri concordati si sia tenuto conto di certe garanzie verso lo Stato, per cui anche il clero non sia formato in modo contrario alle leggi e all’ordine nazionale, e precisamente imponendo che per avere molti uffici ecclesiastici è necessario un titolo di studio pubblico (quello che da adito alle università).

Natura dei Concordati.

Nella sua lettera al cardinal Gasparri (19) del 30 maggio 1929, Pio XI scrive: “anche nel Concordato sono in presenza, se non due Stati, certissimamente due sovranità sicuramente tali, cioè pienamente perfette, ciascuna nel suo ordine, ordine necessariamente determinato dal rispettivo fine, dove è appena d’uopo soggiungere che l’oggettiva dignità dei fini, determina non meno oggettivamente e necessariamente l’assoluta superiorità della Chiesa”.

Questo è il terreno della Chiesa: avendo accettato due strumenti distinti nello stabilire i rapporti tra Stato e Chiesa, il trattato e il Concordato, si è accettato questo terreno necessariamente, il trattato determina questi rapporti tra due Stati, il Concordato determina i rapporti tra due sovranità nello “stesso Stato”, cioè si ammette che nello stesso Stato ci sono due sovranità uguali, poiché trattano a parità di condizioni (ognuna nel suo ordine). Naturalmente anche la Chiesa sostiene che non c’è confusione di sovranità, ma perché sostiene che nello “spirituale” allo Stato non compete sovranità e se lo Stato se l’arroga, commette usurpazione. Anche la Chiesa sostiene inoltre che non ci può essere duplice sovranità nello stesso ordine di fini, ma appunto perché sostiene la distinzione dei fini e si dichiara unica sovrana nel terreno dello spirituale.

Il padre Luigi Taparelli, nel suo libro Esame critico degli ordini rappresentativi nella società moderna, così definisce i concordati: “… Sono convenzioni fra due autorità governanti una medesima nazione cattolica”. Quando si stabilisce una convenzione, hanno per lo meno uguale importanza giuridica le interpretazioni della convenzione stessa che ne danno le due parti.

I cattolici dopo il Concordato.

E’ molto importante la risposta del papa all’augurio natalizio del Sacro collegio dei cardinali pubblicata nella Civiltà cattolica del 4 gennaio 1930. Nella “Civiltà cattolica” del 18 gennaio è pubblicata l’enciclica papale “Quinquagesimo ante anno” (per il cinquantesimo anno di sacerdozio di Pio XI), dove è ripetuto che Trattato e Concordato sono inscindibili e inseparabili “o tutti e due restano, o ambedue necessariamente vengono meno”. Questa affermazione reiterata del papa ha un grande valore: essa forse è stata fatta e ribadita, non solo nei riguardi del governo italiano, col quale i due atti sono stati conclusi, ma specialmente come salvaguardia nel caso di mutamento di governo. La difficoltà è nel fatto che cadendo il trattato, il papa dovrebbe restituire le somme che intanto sono state versate dallo Stato italiano in virtù del trattato: né avrebbe valore il cavillo possibile basato sulla legge delle guarentigie.. Bisognerà vedere come mai nei bilanci dello Stato era impostata la somma che lo Stato av

eva assegnato al Vaticano dopo le guarentigie, quando esisteva una diffida che tale obbligo veniva a cadere se, entro i cinque anni dopo la legge, il Vaticano ne avesse rifiutato la riscossione.

La società civile.

Occorre distinguere la società civile, come è intesa dallo Hegel, e nel senso in cui è spesso adoperata in queste note (cioè nel senso di egemonia politica e culturale di un gruppo sociale sull’intiera società, come contenuto etico dello Stato) dal senso che le danno i cattolici, per i quali la società civile è invece la società politica e lo Stato, in confronto della società familiare e della Chiesa. Dice Pio XI nella sua enciclica sull’educazione (“Civiltà cattolica” del 1· febbraio 1930): “Tre sono le società necessarie, distinte e pur armoniosamente congiunte da Dio, in seno alle quali nasce l’uomo: due società di ordine naturale, quali sono la famiglia e la società civile; la terza la Chiesa, di ordine soprannaturale. Dapprima la famiglia, istituita immediatamente da Dio al fine suo proprio, che è la procreazione ed educazione della prole, la quale perciò ha priorità di natura, e quindi una priorità di diritti, rispetto alla società civile. Nondimeno la famiglia è società imperfetta, perché non ha in sé

tutti i mezzi al fine proprio che è il bene comune temporale, onde, per questo rispetto, cioè in ordine al bene comune, essa ha preminenza sulla famiglia, la quale raggiunge appunto nella società civile la sua conveniente perfezione temporale. La terza società, nella quale nasce l’uomo, mediante il battesimo, alla vita divina della grazia, è la Chiesa, società di ordine soprannaturale e universale, società perfetta, perché ha in sé tutti i mezzi necessari al suo fine, che è la salvezza eterna degli uomini, e pertanto suprema nel suo ordine”. Per il cattolicismo, quella che si chiama “società civile” in linguaggio hegeliano non è “necessaria” cioè è puramente storica o contingente. Nella concezione cattolica lo Stato è solo la Chiesa, ed è uno Stato universale e soprannaturale; la concezione medioevale teoricamente è mantenuta in pieno. "

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NOTE

*****(*) Da: Antonio Gramsci, “Il Vaticano e l’Italia”, Editori Riuniti 1967.

*****(1) Si tratta sicuramente dell’allocuzione papale del 14 dicembre 1925 in cui PIO XI, facendo il bilancio dell’anno santo, espresse la sua gratitudine nei riguardi del governo italiano per quanto aveva fatto per assicurare il successo dei pellegrinaggi e nell’interesse della religione, lamentando però al tempo stesso che quest’opera fosse insufficiente a riparare i torti recati in precedenza alla Chiesa e alla religione. Il papa tesseva quindi l’elogio aperto del governo fascista dicendo di apprezzare gli sforzi volti a sopperire le contese intestine e giungeva a deplorare apertamente il recente attentato di Zaniboni contro Mussolini.

*****(2) Nota bibliografica sul libro: Wilfrid Parson, “The Pope and Italy”, Washington, Tip. Ed. “The America Press”, 1929, in-16·, pp. 134: il Parson è direttore della rivista “America” (nota di Gramsci).

*****(3) Infatti il concordato tra la Città del Vaticano e la Prussia, del 14 giugno 1929, concluso dopo lunghe trattative, ripristinava o statuiva nuovi privilegi a favore della Chiesa cattolica in Germania, quali il ristabilimento della sede vescovile ad Aquisgrana, il concorso dello Stato alla formazione di nuove parrocchie, la regolamentazione degli edifici e fondi dello Stato destinati a scopi della Chiesa, ecc.

*****(4) probabile allusione al controllo esercitato dagli interventisti anglo-americani sulla vita politica ed economica della Repubblica georgiana dopo la sconfitta di Denìkin e il ritiro delle truppe tedesche, nel luglio 1918.

*****(5) Luigi Credaro (1860-1939), pedagogista e uomo politico fu ministro della pubblica istruzione tra il 1911-1914, fondatore e direttore della “Rivista pedagogica”. Da lui prese nome la legge sull’istruzione elementare del 1910-11 che, con la creazione dei consigli provinciali scolastici, affidava allo Stato l’istruzione elementare nella maggior parte dei comuni italiani. La legge fu avversata aspramente dalla Chiesa che fino allora aveva avuto il quasi completo monopolio dell’istruzione elementare.

*****(6) Il cardinale Roberto Bellarmino (1542-1621), forse il maggiore dei teorici della Controriforma, fu “autore della formula del potere indiretto della Chiesa su tutte le sovranità civili”.

*****(7) Centro neoscolastico: movimento filosofico sorto in Italia all’inizio del XIX secolo, fondato sull’indirizzo Aristotelico-tomistico. Ebbe tra i principali promotori padre Luigi Taparelli d’Azeglio e fu sanzionato nel 1879 dall’enciclica “Aeterni patris” (Dell’Eterno Padre) di Leone XIII. La Conciliazione diede nuova lena al neoscolasticismo con la fondazione della “Rivista di filosofia neoscolastica” e dell’università cattolica del Sacro Cuore (1929), entrambe sorte per l’iniziativa di padre Gemelli.

*****(8) Il congresso di filosofia del 26-29 maggio 1929, che aveva in programma il dibattito dei problemi sollevati dal concordato —in sostanza la questione del predominio della religione sulla filosofia o della filosofia sulla religione— segnò il punto di crisi del laicismo e del liberalismo. In esso scoppiò aspro e aperto il contrasto tra G. Gentile e il Gemelli, cioè tra idealisti attuali e neoscolastici (v. sul congresso E. Garin, “Cronache di filosofia italiana”, Bari, 1955, p. 490 e passim).

*****(9) Cioè si rappresenta ancora il mondo secondo la vecchia concezione del geografo greco Tolomeo, secondo cui la terra era il centro dell’universo, e non secondo la concezione scientifica moderna, nata con Copernico, che per primo affermò che la terra non è che uno dei pianeti che girano intorno al sole.

*****(10) Shylock, usuraio ebreo, personaggio della commedia di Shakespeare, “Il mercante di Venezia”, che vincola il mercante Antonio all’obbligo di cedergli una libbra della propria carne in caso di mancata restituzione di un prestito.

*****(11) Lo statista e letterato inglese Beniamin Disraeli, conte di Beacosfield (1804-1881), riorganizzò il partito conservatore inglese e fu più volte ministro e presidente del consiglio, nel 1868 e nel 1874; promosse una politica estera di espansione, ostacolando le mire russe.

*****(12) In base alla convenzione finanziaria allegata al Trattato del Laterano l’Italia doveva pagare al Vaticano 750 milioni di lire in contanti e un miliardo in consolidato al 5% al portatore. (V. Candeloro, “Il movimento cattolico in Italia”, Roma 1961, pagine 504-505).

*****(13) In data, pare, del giugno 1892, riportata a p. 244 e sgg. del libro di Francesco Salata, “Per la storia diplomatica della Quistione Romana”, I, Treves, 1929 (nota di Gramsci).

*****(14) Bompiani, 1931, (nota di Gramsci).

*****(15) Roma, “Rassegna Romana”, 1932, (nota di Gramsci).

*****(16) Val la pena di ricordare che la legge concordataria sul matrimonio è stata bollata da uno scrittore cattolico come il Jemolo come “complessa e farraginosa”, come “il più colossale pasticcio… che sia dato pensare” (v. A. C. Jemolo, “Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni”, Torino, 1948, p. 647 e sgg.).

*****(17) Cioè leggi distruggitrici dei privilegi della Chiesa cattolica.

*****(18) Il Concordato aggravò ancora il carattere confessionale impresso alla scuola dalla riforma Gentile, estendendo alla scuola secondaria inferiore il principio dell’istruzione religiosa e riconoscendo praticamente la religione cattolica come sola religione dello Stato italiano.

*****(19) Pubblicata nella “Civiltà cattolica” del 15 giugno successivo, vol. II, p.483

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