lunedì 13 aprile 2015

Chiusura degli ospedali giudiziari e psichiatria di territorio: ancora dubbi e proposte

Radicaliperugia.org ospita volentieri questo intervento di Eleonora Favaroni  sulle incognite della chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari prevista già per il 31 marzo scorso.


A proposito degli OPG  Si è parlato di chiusura definitiva avvenuta due giorni fa. C’è chi pensa ottimisticamente a un cambio culturale, chi parla di “conquista di civiltà “, chi avanza ancora  dubbi riguardo la sicurezza e il timore dei cittadini , tipico di tanta troppa ignoranza  e non conoscenza in materia , che alimenta solo altra ignoranza ed errore più che  da fatti concreti. Si ricordano e denunciano doverosamente le condizioni disumane in cui versano e hanno fin’ora  versato  tali istituzioni dove vengono legittimate spesso  dinamiche violente e di abusi ( ricordiamo il numero ricorrente ed elevato dei suicidi e omicidi presso queste strutture, l’abuso di contenzioni meccaniche e chimiche pesanti e devastanti, l’assenza totale di tutela e di diritti. In tal caso da applaudire il documentario di Francesco Cordio “ Lo stato della follia”) dinamiche che si perpetuano anche in molte altre  realtà istituzionali come il carcere e i reparti psichiatrici. Sopravvive ancora da secoli (il ricovero coatto in manicomio è stato istituito nel 1904 e poi , i manicomi giudiziari sono passati al Sistema penale nel 1976) forte il concetto e preconcetto del “folle” pazzo, pericoloso ; concetti strettamente legati  a pratiche  altrettanto desuete e in vigore  come il contenimento e la segregazione coatta.  
Non credo proprio alla luce della realtà odierna  che si possa parlare di salto di civiltà , cambiamento , alternative , né basta sapere che i “ricoveri” in OPG sono diminuiti.

Nessun senso poi né cambiamento alternativo  propone del resto  la normativa che con la legge 81 /2014 prevede l’affidamento e la “presa in cura” dei detenuti  nelle REMS o nelle strutture protette  dei dipartimenti di salute mentale locali: comunità riabilitative ( CTR di tipo 1 o 2), residenze assistite 24 ore su 24, gruppi di convivenza ecc… cioè   altre istituzioni totali e chiuse, dove  non credo proprio si possa parlare con così tanta leggerezza e ipocrisia di “presa in cura”  “riabilitazione” 0 “accoglienza”. Le risposte sono già implicite  nella confusa trama di ipotesi avanzate per contenere il problema e non certo per affrontarlo diversamente. Il problema è insito nella struttura ideologica  che ha sempre caratterizzato queste istituzioni che si presentano ancora come il continuum dei vecchi manicomi. Non cambierà nulla di fatto nella gestione dei detenuti ex internati degli OPG destinati al circuito chiuso e controllato delle REMS  (per i più “pericolosi”)o  dei Centri di salute mentale ( per i dimissibili).
La scena si ripete tale e quale quando verso la metà degli anni settanta si decideva  per la  chiusura de i grandi manicomi italiani ,  pioniere di tale da molti salutata come una “rivoluzione  ” socio-culturale e politica Franco Basaglia e lo staff di Gorizia e Trieste, seguito e imitato poi da altre realtà regionali come anche Perugia con Carlo Manuali.
Si parla della necessità come allora con i primi CIM ( centri di igiene mentale), di investire e potenziare i servizi del territorio , quindi i centri di salute mentale con annesse strutture da essi gestiti ma non di progetti e obiettivi per una reale autonomia e promozione dell’ identità dell’individuo. D’altro canto  molto difficile pensare a una liberazione soggettiva in individui ormai spersonalizzati e segnati  con alle spalle anche 20 anni di manicomio giudiziario.
Siamo difronte a una nuova massiccia reistituzionalizzazione.
Secondo  i dati forniti dalla relazione  trimestrale  del Governo, del 14 novembre 2014, i posti letto per le REMS erano inizialmente  progettati per numero di 900, ora sembra sceso a 100. Gli internati presenti ancora al 1 settembre erano 793 più 84 ingressi nuovi di cui  160 dichiarati non dimissibili per ragioni cliniche e dove il 17% dichiarati pericolosi socialmente. La legge 81 prevede che dopo 6 mesi dalla chiusura degli OPG, le Regioni  che non riescano a dimostrare la capacità di accogliere i detenuti nelle strutture saranno commissariate.
Castiglione delle Stiviere,  l’unico con una sezione femminile  sarà il modello di riferimento per la Lombardia per aprire posti letto extraospedalieri  alternativi al vecchio OPG ,a Leno e altre cittadine lombarde, con il risultato più che palese di ritornare a ricalcare pienamente l’approccio manicomiale  chiuso .
In Umbria non c’è un OPG (ma si farà capo a Firenze , Montelupo fiorentino) ma il problema istituzionale si ripropone totalmente in quanto , è una delle Regioni che conta il maggior numero di residenze fisse   con  posti-letto, d’Italia. 
Ancora non sappiamo nulla di fatto sull’organizzazione e l’andamento della situazione attualissima che si è venuta a creare  e , se le  indicazioni verranno rispettate o riviste, comunque quello che emerge chiaramente , al di là delle incertezze e dei dubbi persistenti è la generale immobilità e immutevolezza di un sistema ideologico fortemente radicato come   quello manicomiale che mostra i suoi aspetti dietro facciate esterne apparentemente riconvertite e mutate . I detenuti degli OPG verranno comunque destinati ad altri apparati simili di controllo e contenimento. Il vero problema è questo.  Il vero problema è in tutto il sistema da rivedere alle radici: quindi, gli approcci terapeutici improntati ancora sulla vecchia psichiatria clinica  dannosa e non sulla vera psicoterapia relazionale, veri progetti concreti  per promuovere autonomia e autodeterminazione , con conseguente sganciamento dai servizi e prospettive di dimissibilità definitiva, e non  creare dipendenza e cronicizzazione.
Qui  trova espressione  tutta la fallacia e illusoria costruzione politico-sociale-culturale  della contraddizione Basagliana e della legislazione penale italiana  . Basaglia ha chiuso i grandi manicomi ma conservando pienamente tutta l’ideologia manicomiale trasferendola poi nel territorio frammentata nel circuito di  tante altre piccole istituzioni totali coercitive chiuse e controllate quali sono oggi i Centri di salute mentale , case famiglia, comunità ecc. dove ci sono persone che vi sono assoggettate e dipendenti   da anni ,  strutture che dovrebbero essere di transito , e momentanee invece finiscono per presentarsi come contenitori stazionari di detenzione fisico-psicologica illimitata . Veri ergastoli bianchi. 
Non serve chiudere un cancello quando le mura sono saldamente erette dentro la nostra mente . Quando la paura attanaglia le nostre convinzioni e le nostre coscienze. La paura dell’incerto , dell’ignoto , del diverso , o del non conosciuto.
La stessa paura che aveva  Basaglia stesso e di cui si  rendeva più o meno  conto quando  all’indomani della creazione del concetto di “comunità”, affermava  a proposito del pericolo di una nuova reistituzionalizzazione :“ questo è il rischio cui può andare incontro il nostro futuro ospedale  comunitario. Ci limitiamo a traslocare dentro mura trasparenti la nostra struttura gerarchico-autoritaria. Esiste davvero un fuori sul quale e dal quale si possa agire prima che le istituzioni ci distruggano?”.
Forse Non si era accorto  purtroppo che questo era già accaduto. L’istituzione era dentro di lui e intorno a lui. Basaglia ha solo agito all’esterno e non per cambiare il sistema interno di cui egli stesso era rappresentante . Cosa che invece in quegli anni e molto prima ancora succedeva in Inghilterra con i pionieri della psichiatria esistenziale ( che Basaglia aveva conosciuto e ne era rimasto affascinato )e le esperienze di comunità aperte e del tutto deistituzionalizzate come furono le Kingsley Hall e Villa 21.

Per quanto riguarda il destino oscuro e ancora  incerto degli ex  internati in OPG sospeso sul doppio binario tra carcere e manicomio , esso finisce per ricalcare la strada di quella ambiguità  vecchia e irrisolta che finisce col relegare nuovamente  le persone in ruoli fissi e congelati carcerato /carceriere; paziente/medico, e in quella terra di nessuno , dove tutti possono stare ma dove in realtà nessuno è libero; una contraddizione che trova la sua tragica  fine in se stessa.

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