Radicaliperugia.org ospita volentieri questo intervento di Eleonora Favaroni  sulle incognite della chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari prevista già per il 31 marzo scorso.
A proposito degli OPG 
Si è parlato di chiusura definitiva avvenuta due giorni fa. C’è chi pensa ottimisticamente a un cambio culturale, chi
parla di “conquista di civiltà “, chi avanza ancora  dubbi riguardo la sicurezza e il timore dei
cittadini , tipico di tanta troppa ignoranza 
e non conoscenza in materia , che alimenta solo altra ignoranza ed errore
più che  da fatti concreti. Si ricordano
e denunciano doverosamente le condizioni disumane in cui versano e hanno
fin’ora  versato  tali istituzioni dove vengono legittimate
spesso  dinamiche violente e di abusi (
ricordiamo il numero ricorrente ed elevato dei suicidi e omicidi presso queste
strutture, l’abuso di contenzioni meccaniche e chimiche pesanti e devastanti, l’assenza totale di tutela e di diritti. In tal caso da
applaudire il documentario di Francesco Cordio “ Lo stato della follia”)
dinamiche che si perpetuano anche in molte altre  realtà istituzionali come il carcere e i
reparti psichiatrici. Sopravvive ancora da secoli (il ricovero coatto in
manicomio è stato istituito nel 1904 e poi , i manicomi giudiziari sono passati
al Sistema penale nel 1976) forte il concetto e preconcetto del “folle” pazzo,
pericoloso ; concetti strettamente legati 
a pratiche  altrettanto desuete e
in vigore  come il contenimento e la
segregazione coatta.  
Non credo proprio alla luce della realtà odierna  che si possa parlare di salto di civiltà ,
cambiamento , alternative , né basta sapere che i “ricoveri” in OPG sono
diminuiti.
Nessun senso poi né cambiamento alternativo  propone del resto  la normativa che con la legge 81 /2014 prevede
l’affidamento e la “presa in cura” dei detenuti 
nelle REMS o nelle strutture protette 
dei dipartimenti di salute mentale locali: comunità riabilitative ( CTR
di tipo 1 o 2), residenze assistite 24 ore su 24, gruppi di convivenza ecc… cioè   altre istituzioni totali e chiuse, dove  non credo proprio si possa parlare con così
tanta leggerezza e ipocrisia di “presa in cura” 
“riabilitazione” 0 “accoglienza”. Le risposte sono già implicite  nella confusa trama di ipotesi avanzate per
contenere il problema e non certo per affrontarlo diversamente. Il problema è
insito nella struttura ideologica  che ha
sempre caratterizzato queste istituzioni che si presentano ancora come il
continuum dei vecchi manicomi. Non cambierà nulla di fatto nella gestione dei
detenuti ex internati degli OPG destinati al circuito chiuso e controllato
delle REMS  (per i più
“pericolosi”)o  dei Centri di salute
mentale ( per i dimissibili).
La scena si ripete tale e quale quando verso la metà
degli anni settanta si decideva  per
la  chiusura de i grandi manicomi
italiani ,  pioniere di tale da molti
salutata come una “rivoluzione  ”
socio-culturale e politica Franco Basaglia e lo staff di Gorizia e Trieste,
seguito e imitato poi da altre realtà regionali come anche Perugia con Carlo
Manuali.
Si parla della
necessità come allora con i primi CIM ( centri di igiene mentale), di investire
e potenziare i servizi del territorio , quindi i centri di salute mentale con
annesse strutture da essi gestiti ma non di progetti e obiettivi per una reale
autonomia e promozione dell’ identità dell’individuo. D’altro canto  molto difficile pensare a una liberazione
soggettiva in individui ormai spersonalizzati e segnati  con alle spalle anche 20 anni di manicomio
giudiziario.
Siamo difronte a
una nuova massiccia reistituzionalizzazione. 
Secondo  i dati
forniti dalla relazione  trimestrale  del Governo, del 14 novembre 2014, i posti
letto per le REMS erano inizialmente 
progettati per numero di 900, ora sembra sceso a 100. Gli internati
presenti ancora al 1 settembre erano 793 più 84 ingressi nuovi di cui  160 dichiarati non dimissibili per ragioni
cliniche e dove il 17% dichiarati pericolosi socialmente. La legge 81 prevede
che dopo 6 mesi dalla chiusura degli OPG, le Regioni  che non riescano a dimostrare la capacità di
accogliere i detenuti nelle strutture saranno commissariate.
Castiglione delle Stiviere,  l’unico con una sezione femminile  sarà il modello di riferimento per la
Lombardia per aprire posti letto extraospedalieri  alternativi al vecchio OPG ,a Leno e altre
cittadine lombarde, con il risultato più che palese di ritornare a ricalcare
pienamente l’approccio manicomiale 
chiuso .
In Umbria non c’è un OPG (ma si farà capo a Firenze ,
Montelupo fiorentino) ma il problema istituzionale si ripropone totalmente in
quanto , è una delle Regioni che conta il maggior numero di residenze
fisse   con  posti-letto, d’Italia.  
Ancora non sappiamo nulla di fatto sull’organizzazione e
l’andamento della situazione attualissima che si è venuta a creare  e , se le 
indicazioni verranno rispettate o riviste, comunque quello che emerge
chiaramente , al di là delle incertezze
e dei dubbi persistenti è la generale immobilità e immutevolezza di un sistema
ideologico fortemente radicato come  
quello manicomiale che mostra i suoi aspetti dietro facciate esterne apparentemente
riconvertite e mutate . I detenuti degli OPG verranno comunque destinati ad
altri apparati simili di controllo e
contenimento. Il vero problema è questo. 
Il vero problema è in tutto il sistema da rivedere alle radici: quindi,
gli approcci terapeutici improntati ancora sulla vecchia psichiatria clinica  dannosa e non sulla vera psicoterapia
relazionale, veri progetti concreti  per
promuovere autonomia e autodeterminazione , con conseguente sganciamento dai servizi
e prospettive di dimissibilità definitiva, e non  creare dipendenza e cronicizzazione. 
Qui  trova
espressione  tutta la fallacia e
illusoria costruzione politico-sociale-culturale  della contraddizione Basagliana e della
legislazione penale italiana  . Basaglia
ha chiuso i grandi manicomi ma conservando pienamente tutta l’ideologia
manicomiale trasferendola poi nel territorio frammentata nel circuito di  tante altre piccole istituzioni totali
coercitive chiuse e controllate quali sono oggi i Centri di salute mentale ,
case famiglia, comunità ecc. dove ci sono persone che vi sono assoggettate e
dipendenti   da anni ,  strutture che dovrebbero essere di transito ,
e momentanee invece finiscono per presentarsi come contenitori stazionari di
detenzione fisico-psicologica illimitata . Veri ergastoli bianchi.  
Non serve chiudere un cancello quando le mura sono
saldamente erette dentro la nostra mente . Quando la paura attanaglia le nostre
convinzioni e le nostre coscienze. La paura dell’incerto , dell’ignoto , del
diverso , o del non conosciuto.
La stessa paura che aveva 
Basaglia stesso e di cui si 
rendeva più o meno  conto
quando  all’indomani della creazione del
concetto di “comunità”, affermava  a
proposito del pericolo di una nuova reistituzionalizzazione :“ questo è il
rischio cui può andare incontro il nostro futuro ospedale  comunitario. Ci limitiamo a traslocare dentro
mura trasparenti la nostra struttura gerarchico-autoritaria. Esiste davvero un
fuori sul quale e dal quale si possa agire prima che le istituzioni ci
distruggano?”.
Forse Non si era accorto 
purtroppo che questo era già accaduto. L’istituzione era dentro di lui e
intorno a lui. Basaglia ha solo agito all’esterno e non per cambiare il sistema
interno di cui egli stesso era rappresentante . Cosa che invece in quegli anni e
molto prima ancora succedeva in Inghilterra con i pionieri della psichiatria
esistenziale ( che Basaglia aveva conosciuto e ne era rimasto affascinato )e le
esperienze di comunità aperte e del tutto deistituzionalizzate come furono le
Kingsley Hall e Villa 21. 
Per quanto riguarda il destino oscuro e ancora  incerto degli ex  internati in OPG sospeso sul doppio binario
tra carcere e manicomio , esso finisce per ricalcare la strada di quella
ambiguità  vecchia e irrisolta che
finisce col relegare nuovamente  le
persone in ruoli fissi e congelati carcerato /carceriere; paziente/medico, e in
quella terra di nessuno , dove tutti possono stare ma dove in realtà nessuno è
libero; una contraddizione che trova la sua tragica  fine in se stessa.
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