martedì 27 gennaio 2009

Caso Englaro: Ciacca intervistato da Il Messaggero

Tommaso CiaccaROMA - Tommaso Ciacca è anestesista all’ospedale di Spoleto. E’ stato lui, nel luglio 2007, a guidare la delegazione di medici che aveva accettato di accogliere l’appello di Giovanni Nuvoli. L’ex agente di commercio di Alghero malato di sclerosi laterale amiotrofica che aveva chiesto più volte che fossero spente le macchine in grado di tenerlo in vita. «Noi arrivammo a casa del paziente come d’accordo - racconta Ciacca - ma trovammo i carabinieri mandati dalla Procura di Sassari. Fummo costretti a fermarci anche se Giovanni ci aveva chiesto di intervenire. E, in suo nome oggi, abbiamo creato un’associazione».
Quindi lei è soddisfatto della sentenza del Tar?
«Mi sembra legittima ed in linea con quello che stato già deciso dai giudici».
Lei, se avesse fermato le macchine che permettevano a Nuvoli di vivere, si sarebbe sentito di andare contro il suo codice deontologico?
«Assolutamente no. Come medici siamo tenuti a tener conto della volontà precedentemente espressa dal paziente. Mi sembrerebbe di andare contro il codice se decidessi di operare senza il sì del malato».
A suo avviso è corretto trattare un paziente in stato vegetativo come fosse in fase terminale. Dunque “alleggerirlo” delle terapie, a quel punto, inefficaci?
«Se sono le sue volontà, lo ripeto, sì. D’altronde, se non fosse intervenuta la mano di un medico a mettere il sondino, la natura avrebbe portato a morte persone in questo stato. La tecnologia e la perizia medica permettono la sopravvivenza. Ma parliamo di situazioni di innaturalità».
E, dunque, naturale che la paziente chieda di morire?
«Questo non significa che tutti debbano chiederlo e debbano essere obbligati a seguire una strada simile. D’altronde, spesso, ci troviamo davanti in situazioni in cui dobbiamo fare scelte etiche anche se meno eclatanti del caso Eluana».
Pensa a casi specifici?
«Per esempio ai Testimoni di Geova che non vogliono le trasfusioni. Io spiego che non accettare il trattamento può voler dire morire ma non posso imporlo. Mi fermo davanti alla volontà del paziente. Un discorso simile lo possiamo fare con chi è in dialisi».
Che cosa accade?
«I pazienti sanno che se non vengono tre volte a settimana a fare la dialisi possono andare incontro alla morte. Ma se non vengono noi non possiamo certo costringerli».
C.Ma.

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