lunedì 3 novembre 2008

Documenti congressuali: intervento di Francesco Tullio "Psicopolitica della sicurezza e dell'azione politica"

Intervento di Francesco Tullio per il VII congresso di Radicali Italiani nella Commissione La politica transnazionale: diritti umani, nonviolenza, satyagraha 


I lavori della commissione, registrati da Radio Radicale, si possono ascoltare cliccando qui


Ringrazio Francesco Pullia per avermi invitato a questa commissione e per avermi chiamato radicale storico. In realtà sono stato iscritto un anno ma ancora prima avevo convocato tutti gli iscritti locali e dato il via al primo nucleo del partito a Perugia nel 1976 dopo la marcia per il disarmo Trieste Aviano. (...)


PARTITO RADICALE, IDENTITA’ ED AZIONE


     Il fatto è che ho un problema con le identità ed ha ragione Pannella a dire a Mauro Zanella … “ma si Tullio non è un radicale, sarà un simpatizzante , forse…”.


Però anni fa Pannella mi ha fatto l’onore di chiamarmi e di propormi di collaborare su questo nostro tema di oggi.. Eccomi qui vedremo ….


Il fatto è che ho certo simpatia e stima per Marco e per il clima di impegno che respiro nel PR ma propendo per una democrazia diretta dove siano superati i poteri carismatici. Per questo aspetto apprezzavo i grandi partiti di base ma poi si sono adeguati anche loro alla modernità leaderistica e plagiante, alle ragioni televisive, ai sondaggi emozionali del momento.


     Marco ed Emma sono riusciti a tenere lontani dal PR gli interessi materiale del tornaconto economico personale, grande grande apprezzamento e lode per questa non indifferente qualità. Ma la frenesia cui si lavorava, sempre sul punto di morte, sempre stiamo per scomparire, nasceva da un’ulteriore dimensione dello spirito che in quel periodo non potevo mettere in discussione. E si legava ad un altro aspetto, quello degli interessi narcisistici. Il bisogno di emergere non erano diversi in sostanza, ma più evidenti in pratica, che nelle altre aggregazioni politiche dove l’aspetto della carriera personale si gioca nell’ombra delle oligarchie e delle cooptazioni.


     Insomma c’ho un bel conflitto interiore sull’emergere come leader o restare un uomo di base e per questo ho agito con i gruppi nonviolenti minori, facendo, finché ero giovane, delle azioni dirette. Sono stato l’unico italiano a passare in cella il giorno che nel gennaio 1991 iniziarono i nostri bombardamenti in Iraq. Ero semplicemente entrato dentro al Parlamento per dire ai nostri deputati che non bisognava ledere l’articolo 11 della Costituzione. Il giorno prima era stato fatto un walk around intorno al parlamento, rito dissoltosi all’alba. Allora io nella solitudine del chiarore sono entrato dentro e volevo parlare con qualche parlamentare. Ma un commissario non ha gradito e mi ha fatto l’onore, di fascitica memoria, di farmi passare quel giorno in guardina. Poi ho pagato una multa.


     Nel frattempo mi sono accorto che non esiste abbastanza gente comune ad esprimere una volontà di pace che superi quelle contraddizioni sulle quali ho cercato personalmente di prendere consapevolezza: l’ingabbiamento in gruppi di identificazione mass mediatica o l’adesione a gruppi di interesse di tipo genericamente corporativo, intendo dire condizionato da interessi materiali e di competizione con altri gruppi, interessi che ne limitano la capacità di risolvere le contraddizioni profonde nella contrapposizione pre-potente ( Tornerò sul concetto di identità, di appartenenza/esclusione- contrapposizione e infine di amico /nemico).


     Per questa carenza di forze più consapevoli non si riesce ad esprimere in modo pienamente democratico la co-esistenza ed io mi sento confuso. Confuso sarà anche il mio intervento e non so quale possa essere l’approccio giusto per trasmettervi il senso della mia ricerca. Non mi soffermo sui concetti di vincere insieme, di trasformazione costruttiva dei conflitti, di problem solving, di forze civili di pace, di organismo planetario democratico, che mi appartengono.


     Mi interessa qui affrontare l’aspetto psicosociale della convivenza ed della politica, solitamente trascurato.


UN INTERVENTO CONFUSO, UNA RICERCA SISTEMATICA


     Ampie parti della mia ricerca Il Brivido della Sicurezza, psicopolitica del terrorismo, dello squilibrio ambientale e nucleare (Ed Franco Angeli, 2007,, Collana “La Società”) sono state pubblicate in inglese dalla rivista della IPPNW, International Physicians for the Prevention of Nuclear War, premio Nobel per la Pace, ed in serbo dalla Facoltà della Sicurezza della Università di Belgrado.


     La traccia di pensiero che seguo è complessa ed avrebbe bisogno di alcune premesse per arrivare ad una descrizione accettabile, se non esaustiva.


Non c’è il tempo. Vi ringrazio se vorrete sollevare tutte le obiezioni e resistenze possibili perché mi aiuterete a spiegarmi.


     La “sicurezza” va considerata in maniera multidimensionale, così come affermano anche la Nato e l’Unione Europea.


     Partendo da Einstein e Freud, ho collegato il terrorismo al suo significato originario, cioè all’evocazione del terrore, ed ho spiegato come sia collegato alla minaccia nucleare e alla crisi ambientale.


     Siamo coinvolti, in questa fase storica di instabilità, in una spirale perversa confermata dalla crisi finanziaria e dallo stato di allarme sociale, di confusione e disgregazione percepiti da molte popolazioni.


     Nel saggio viene evidenziato il nesso fra sicurezza umana ed economica e l’intreccio della violenza con le istituzioni. Le radici soggettive dell’aggressività, del senso di insicurezza e di paura, si ripercuotono sulle istituzioni e sulle loro scelte, che a loro volta alimentano un circolo vizioso.


     Ho portato alcuni elementi di analisi delle personalità dei terroristi suicidi, di coloro che li approvano e delle masse occidentali benestanti. Ho trattato il tema delle reazioni bio-psichiche al pericolo e di come diverse emozioni umane (rabbia, avidità, brama di potere e controllo, produzione compulsiva, consumismo, dipendenza e conformismo, sia individuali che collettive) siano alla radice della vulnerabilità del sistema e della fragilità ecologica, socio-economica e psico-sociale.


     La logica del profitto a tutti i costi ha messo in moto una “frenesia dello sviluppo” che non ha precedenti nella storia. L’ambiente è sottoposto ad una pressione inedita e ne conseguiranno fenomeni di conflittualità sociale.


     La ex Jugoslavia è un esempio di relazione fra vertice e massa nelle situazioni di guerra e fra crisi politico-economica, crisi psichica ed attivazione distruttiva quando gli impulsi collettivi e la mente “viscerale” prevalgono su quella razionale.


IMMAGINE DEL NEMICO ED EX JUOGSLAVIA


     Belli gli interventi introduttivi di Pullia e Sapienza, mi fanno sentire il clima di ricerca attiva per un mondo migliore e mi fanno sentire parte di voi. Pullia nel suo excursus ha però omesso di parlare della ferita aperta nel cuore dell’Europa, della ex Jugoslavia.


     Quando ho inviato il mio articolo in serbo, ad agosto 08, a Karadzic in galera a Den Haag, e la versione italiana a Carla Ponte e Fausto Pocar, non mi è tornata indietro la ricevuta di ritorno!


     Nel mio volume ci sono alcune riflessioni fastidiose. La violenza non è solo e sempre dei capi, ma proviene dai nostri misconoscuti meccanismi interiori che si aggregano e finiscono per esprimere le scelte collettive. Questi meccanismi sono anche i nostri, non è facile accettarli. E’ più facile creare dei capri espiatori e per questo non penso che le mie riflessioni verranno prese in considerazione per valutare e dimensionare correttamente la responsabilità di Karadciz. Questi meccanismi sono legati alle identità, al bisogno di affermarsi (ma anche al bisogno di espandersi, magari a costo del pianeta come abbiamo fatto noi in questi anni ) e talvolta alla rabbia per le ingiustizie subite. Ed i serbi di ingiustizie ne hanno subito molte, sopratutto il silenzio sulle loro ragioni, (non sulla loro Ragione -non hanno ragione, ma hanno delle ragioni).


     Quando la massa esprime odio e rabbia un leader la cavalca, ma va dimostrato se ha attivamente ordinato o passivamente e furbescamente accettato la distruzione, l’omicidio, il genocidio. Una cosa è esprimere a parole o in poesia (che sia quella di Karadciz veramente poesia scadente si vedrà) il proprio risentimento, il nichilismo di sentirsi vittime della storia, un’ altra è ordinare di uccidere.


     Il punto che mi interessa è la decostruzione della immagine del nemico. Non nego le responsabilità individuali e collettive ma il meccanismo della politica dovrebbe passare ad una visione sistemica. Nel Partito radicale ci sono le premesse. Il nostro sistema ha avuto bisogno di un nemico e lo ha trovato nella ex Jugoslavia. Invece di favorire le piccole identità nazionali, la questione andava affrontata con un processo di dialogo con tutte le parti. Ora le ferite sono profondissime, i risentimenti, l’odio vanno decostruiti e superati. Questo si fa con il dialogo ed io sono in dialogo con i nazionalisti serbi e lo farei volentieri anche con i talebani.


Ecco mi fermo qui. Ai medici per la prevenzione della guerra ho proposto di lavorare ad un organismo planetario democratico. Si potrebbe fare leva sul processo avvenuto in Germania, di elaborazione della colpa e della violenza nazista, per sollecitare l’opinione pubblica italiana e tedesca prima ed europea poi, (in particolare francese ed inglese) di richiedere per l’Europa un solo seggio al consiglio di sicurezza e darne però uno per ogni regione del mondo. Utopia ? si sono d’accordo – utopia. Ma sono convinto che questo è un nodo. Grazie e buon lavoro

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