venerdì 3 ottobre 2008

Una democrazia liberale non può avere reati contro la religione

La statua della libertà

Pubblichiamo questo interessante intervento dell'avvocato Maurizio Lombroni

Il Codice Rocco del 1930, approvato subito dopo la sigla dei patti lateranensi tra regime fascista e Stato Vaticano, dette una forte sferzata repressiva anche a quelle condotte che ledevano l’immagine del Pontefice e il generale sentimento religioso del popolo italiano. In particolare, al fine di compiacere le gerarchie vaticane che il fascismo si era voluto fare amiche, Mussolini volle espressamente l’inserimento degli art 402-406 e 724 nel codice penale del tempo. (...)
Il problema è che, se anche in un sistema di governo autoritario norme del genere potevano ritenersi comprensibili (per quanto assolutamente ingiustificabili), non si capisce perché ancora oggi, a distanza di anni dalla caduta del regime e dalla ritrovata libertà, esse debbano continuare a sussistere senza che nessuno avverta impellente l’esigenza di debellarle sic et simpliciter dal nostro ordinamento.
Il sistema penale di uno stato liberal-democratico dovrebbe essere infatti ispirato oltre che al principio della eguaglianza di tutti dinanzi la legge, anche a quello di vera offensività: cioè si dovrebbe punire una condotta solo per il fatto che essa o ha leso una persona sotto il profilo fisico/economico, oppure ne ha danneggiato la reputazione.
Nonostante questo ovvio principio di buon senso, continuano invece a permanere nel nostro ordinamento penale i reati summenzionati, i quali vanno a sanzionare proprio il comportamento di chi, nel libero diritto all’espressione sancito dall’art 21 della Cost., si permette di contestare le basi ridicole su cui poggiano tutti i credo religiosi: cioè far discendere dalla indimostrabilità del dogma dell’esistenza del Dio, il corollario della capacità delle religioni di saper interpretare quello che l’Ente Supremo vuole da noi e di saper indirizzare le masse verso la rettitudine che le porterà alla vita eterna. Ebbene, sulla scorta degli articoli testè richiamati, chi si permettesse di muovere accuse di truffa, abuso della credulità popolare, sostituzione di persona ( vedasi al riguardo il libro di Luigi Cascioli “La morte di Cristo”), è passibile di venire ancora punito con multe che sporcherebbero il suo casellario giudiziario; questo peraltro avviene senza che nella sostanza si sia offesa la reputazione del singolo soggetto appartenente ad una data religione perché, giova sottolinearlo, contestare una fede, non significa infangare chi di quella confessione fa parte…alla stessa stregua di come, contestare la linea politica di un partito, non può certo portare a ritenere di aver commesso ingiuria verso i suoi singoli appartenenti: gli ideali politico /religiosi infatti non sono una condizione innata della persona, ma solo un elemento contingente acquisito e quindi non possono avere alcuna tutela penale. Peraltro, ad ulteriore testimonianza dell’assurdità e della illegittimità di un sistema sanzionatorio di tal genere insiste anche la totale mancanza di punizione che si registra, per converso, verso chi volesse infangare la posizione razionalistico-illuministica degli atei che, stante il disposto dell’art 3 della Cost. sull’uguaglianza di tutti dinanzi la legge, non si comprende perché non dovrebbero ricevere una stessa forma di tutela dalle mortificazioni della loro dignità di pensiero.
Sulla scorta di queste premesse, si auspica che la parte laica del Parlamento si risolva a presentare un progetto di legge di abrogazione immediata di questi articoli che puniscono l’offesa al sentimento religioso degli italiani: la fede è un qualcosa di interno e tale deve restare.
Rimanendo così le cose, si continuerebbe a fare solo un favore al Vaticano e alle altre religioni che, sulla base dello schermo dato loro da questi precetti sanzionatori, persevereranno nel tenere ammutoliti i loro detrattori con il deterrente di poterli far rinviare a giudizio per la sola colpa di essersi permessi di dire quello che pensavano.
Concludo anticipando la contestazione che potrebbero fare alcuni all’idea di non veder più punito il turbamento di funzioni religiose con violenza sulle cose (attuale reato ex art. 404): ebbene, del tutto pleonastico si rivela l’articolo in commento dal momento che il danneggiamento doloso è già una fattispecie delittuosa contemplata dall’art 635 c.p. e quindi, in un periodo in cui tanto si acclama al deflazioneamento legislativo, a nulla serve che altra norma specifichi ulteriormente una sanzione verso un particolare tipo di distruzione di oggetti.

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