martedì 28 ottobre 2008

Niente archiviazione per l’indagine su Aldo Bianzino


Aldo BianzinoDi Vanna Ugolini, dal Messaggero, Umbria, pagg. 33 e 37


PERUGIA - Niente archiviazione per l’indagine su Aldo Bianzino, il falegname di Città di Castello che morì in condizioni poco chiare nella sua cella del carcere di Capanne, dopo essere stato arrestato con la sua compagna Roberta. La polizia gli aveva trovato delle piante di canapa nel suo giardino. Bianzino era incensurato e conosciuto per essere un uomo mite. Il giorno successivo al suo arresto viene trovato morto nella cella d’isolamento in cui era detenuto. (...)Il pm Giuseppe Petrazzini apre un’inchiesta per omicidio volontario contro ignoti, di cui chiederà l’archiviazione e una per omissione di soccorso, per la quale viene indagata una guardia. Dopo una serie di accertamenti il pm chiede l’archiviazione dell’inchiesta per omicidio. Ieri il gip Massimo Ricciarelli ha bocciato la richiesta di archiviazione del pm, ha disposto altri quattro mesi di indagini e auspicato che il pm si avvalga di esponenti del settore e che vengano risentiti i medici che fecero il massaggio cardiaco, il medico che lo visitò quando arrivò in carcere, alcuni detenuti e le guardie che erano di turno quella notte.



Ci vogliono altre indagini, ci vuole più chiarezza prima di dire che la morte in cella di Aldo Bianzino, l’ebanista quarantenne arrestato il 12 ottobre dell’anno scorso per il possesso di alcune piante di canapa e trovato morto nella sua cella, al carcere di Capanne, due giorni dopo, è stata naturale. Il giudice per le indagini preliminari Massimo Ricciarelli ha bocciato la richiesta di archiviazione avanzata dal pm Giuseppe Petrazzini e ha ordinato un supplemento d’indagine di quattro mesi, auspicando che il pm si avvalga di esperti del settore. Inoltre dovranno essere risentite le dottoresse che fecero il massaggio cardiaco, alcuni detenuti per chiarire il mistero di una cella aperta la notte in cui morì Aldo, il medico del carcere, che lo visitò quando arrivò a Capanne dopo l’arresto ma che sembra lo abbia visto un’altra volta e le guardie che erano di turno quella notte.
Per la morte di Bianzino erano state aperte due indagini. La prima per omicidio contro ignoti, l’altra per omissione di soccorso. Per questa seconda indagine, i cui atti sono secretati, è indagata una guardia.
Ad avviso della procura, forte della consulenza medico-legale, il decesso del detenuto fu dovuto a ”cause naturali”, ovvero la rottura di un aneurisma cerebrale. «Le indagini eseguite - scrive il pm - non hanno consentito di evidenziare, anche nella forma del minimo sospetto, l’esistenza di aggressioni del Bianzino, né occasioni in cui le stesse potessero essersi verificate». Una conclusione che i familiari di Bianzino non hanno mai accettato. L’avvocato Massimo Zaganelli, insieme alle colleghe Donatella Donati e Cristina Di Natale, era forte delle conclusioni del consulente medico-legale, Giuseppe Fortuni secondo il quale la morte fu dovuta ad un «violento trauma addominale da schiacciamento con conseguente lacerazione epatica, crisi ipertensiva arteriosa correlata alla sintomatologia dolorosa e alla paura con conseguente reazione adrenergica e successiva rottura di una sacca aneurismatica di una vaso arterioso cerebrale».
Se, dunque, secondo gli esperti del pm non c’era alcun nesso tra la lesione al fegato - dovuta alle manovre rianimatorie - e l’aneurisma, per Fortuni il nesso c’è ed è provato dal fatto che la lesione epatica avvenne in vita mentre quando i medici praticarono i massaggio Bianzino era già morto. Una versione che veniva, in un certo qual modo, avvalorata anche dalle dichiarazioni delle due dottoresse che praticarono la rianimazione a Bianzino: due donne minute che hanno sostenuto di aver fatto la rianimazione con molta attenzione. Era possibile che, con le loro manovre, andassero a ledere il fegato? In aula il legale ha parlato di «istruttoria lacunosa che non ha consentito di far luce su una vicenda oscura». Tra le circostanze anomale sottolineate dai difensori dei familiari (oltre alla compagna Roberta anche la moglie da cui si stava separando, i figli, il padre e il fratello) la posizione del corpo sulla branda, l’essere nudo in periodo autunnale, l’immediato trasferimento del corpo fuori dalla cella e la sua deposizione avanti la porta chiusa dell’infermeria.
Circostanze ritenute strane anche dal medico e dall’infermiere, stando alle testimonianze. «Di fatto - scrive l’avvocato Zaganelli nella richiesta di opposizione - pur in presenza di un’ipotesi di omicidio, incomprensibilmente la cella e gli oggetti ivi contenuti non vennero sottoposti a sequestro, né disposte indagini tecnico scientifiche... pure la nudità del corpo - sottolinea - poteva suggerire l’ipotesi di un oltraggio fisico o morale anteriore al decesso che si presume sia stato portato a immediata conoscenza del direttore, dell’ispettore capo e dei medici del carcere».
Ora il caso Bianzino è riaperto.

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