mercoledì 16 luglio 2008

Il papà: “Quello che farò lo sapete già”

Da "Il riformista", di Alessandro Calvi

«Quello che ho deciso di fare lo sapete già», ma sui tempi «dobbiamo ancora decidere». Beppino Englaro ieri ha incontrato i propri legali. Con loro ha studiato la sentenza della Corte di Appello civile di Milano che ha autorizzato la sospensione della nutrizione e della idratazione per la figlia, Eluana, da 16 anni in stato di coma vegetativo permanente in seguito a un incidente stradale. Eluana, dunque, potrà morire. Dove e quando, però, evidentemente è ancora presto per dirlo. Sul come, invece, il discorso è diverso.

Si definisce "Inanizione". Consiste nell’esaurimento delle forze fisiche dovuto alla interruzione della nutrizione e della idratazione. E così, per dirla con suo papà, Eluana sarà libera. Ma «non soffrirà», spiega Tommaso Ciacca, l’anestesista che seguì la vicenda di Giovanni Nuvoli. E lo stesso ripete Mario Riccio, che invece fu accanto a Piergiorgio Welby. «Lo stato vegetativo permanente non prevede coscienza», spiega. E per questo non dovrebbero essere necessarie terapie particolari, quelle che pure la sentenza dei giudici ha previsto, qualora ce ne fosse bisogno. Già, perché sono stati gli stessi giudici della Corte di Appello civile di Milano, nell’autorizzare l’interruzione della nutrizione e della idratazione di Eluana, a prescrivere come comportarsi «in fase attuativa», fornendo istruzioni che, in qualche caso, tradiscono forse la preoccupazione che la decisione non sia interpretata come - e lo hanno fatto in molti - l’autorizzazione a una eutanasia.

È il caso, ad esempio, del passaggio della sentenza con cui la Corte spiega che l’interruzione dovrà avvenire «eventualmente, se ciò sia opportuno ed indicato in fatto dalla miglior pratica della scienza medica, con perdurante somministrazione di quei soli presidi già attualmente utilizzati atti a prevenire o eliminare reazioni neuromuscolari paradosse (come sedativi o antiepilettici) e nel solo dosaggio funzionale a tale scopo». Sembra di capire che quei farmaci potranno, se necessari, essere utilizzati ma non in dosi tali da avere un effetto diretto sul decorso naturale; insomma, un divieto sostanziale a pratiche di tipo eutanasico. In ogni caso, hanno proseguito i giudici, l’interruzione dovrà avvenire «con modalità tali da garantire un adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della persona (ad esempio anche con umidificazione frequente delle mucose, somministrazione di sostanze idonee ad eliminare l’eventuale disagio da carenza di liquidi, cura dell’igiene del corpo e dell’abbigliamento), durante il periodo in cui la sua vita si prolungherà dopo la sospensione del trattamento».

«Eluana - spiega Giacca - è in coma vegetativo permanente ormai da anni e non può provare alcuna sofferenza». «Di fatto spiega - non ha nessun tipo di vita. O meglio: è una vita non vita, non si relaziona con nessuno, non ha scambio con il mondo esterno, né, appunto, prova sofferenza». Ciò significa, ad esempio, che per lei con tutta probabilità non sarà necessaria alcuna sedizione, nonostante la preoccupazione dei giudici. E, una volta eliminato il nutrimento, non resterà che attendere la fine. Sino ad ora, d’altra parte, proprio la nutrizione con il sondino è stata la terapia con la quale Eluana - o il suo corpo, come dice il padre - è stata tenuta in vita. Due litri o poco meno di sostanze nutritive al giorno.

Spiega Ciacca che in linea di massima in casi come questi può rendersi necessario altro, ad esempio sostenere artificialmente la respirazione, o il cuore, o i reni. Ma ad Eluana questo non serviva. Spesso, poi, si deve intervenire con terapie antibiotiche quando ciò si renda necessario a causa di infezioni di diversa natura. Sempre, invece, in caso di pazienti che non possono muoversi, si procede alla mobilizzazione del corpo per evitare le piaghe e la macerazione della pelle.

I giudici nella sentenza si sono preoccupati non soltanto del "come" ma anche del "dove": «In hospice o altro luogo di ricovero confacente». «Non c’è ancora un luogo individuato», ha spiegato ieri l’avvocato della famiglia Englaro, Vittorio Angiolini. L’altro legale, che è anche curatore speciale di Eluana e che dunque dovrà concorrere con il papà alla decisione di interrompere la nutrizione, ha spiegato che non si tratterà comunque di un ospedale. Forse un hospice o una casa di cura privata. Il papà di Eluana intanto continua, a ragione, a ripetere che ora la vicenda della figlia deve tornare una storia privata. L’eco delle polemiche gli arriva. E lui prova a rispondere. Pen- sando alle critiche del Vaticano, ricorda le parole del Catechismo della Chiesa cattolica: «L’interruzione di procedure mediche dolorose, pericolose, straordinarie, o sproporzionate rispetto ai risultati ottenuti può essere legittima». E quindi chiede: «Questo non corrisponde alla situazione di Eluana?». Ma, poi, dice anche di aver «lottato fino a ieri per arrivare alla sentenza. Ora non è più necessario, è tutto chiaro. La vicenda umana deve rientrare nel privato a questo punto. E lì rientrerà. Ora tutto verrà fatto con Eluana». Ci sono però alcuni aspetti della vicenda che hanno posto problemi sui quali prima o poi anche il Parlamento dovrà dare risposte. E per questo, come già in passato è accaduto con le vicende - tra loro diverse - di Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli e Luca Coscioni, anche quella di Eluana in qualche modo è una vicenda politica. Se sia possibile o meno autorizzare, come ha fatto il giudice, l’interruzione della nutrizione, ad esempio, è un punto sul quale nella scorsa legislatura la politica non era riuscita a esprimersi, divisa tra chi considerava anche la nutrizione una terapia - e così facendo la riteneva rinunciabile come le altre terapie - e chi invece non la considerava tale ma una cura palliativa, non ritenendo dunque che il paziente potesse rinunciarvi. Anche su questo si è giocata la battaglia sul testamento biologico, una battaglia che sulla nutrizione - e sulla idratazione - si era incagliata, bloccata su un problema che, ancora una volta, un giudice è stato chiamato a risolvere.

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