martedì 26 giugno 2007

Intervista a Marco Pannella

Moratoria:Dopo la lotta ancora la lotta
Referendum:"Il potere, vissuto come dominio degli altri, non tollera ostacoli"
Oggi Pannella a Perugia per parlare di laicità e libertà


Ali Adamu - La Sera


Gli occhi azzurri, profondi e sereni di un uomo che dalla Prima Repubblica combatte per i diritti e le libertà. L'odore del sigaro mischiato alla carta stampata. Questo è quello che colpisce immediatamente di Marco Pannella e del suo studio di Largo Torre Argentina. Sono con lui in tarda serata, dopo una giornata di duro lavoro. Non appare certo stanco.


Comincerei l'intervista partendo dal il vostro più recente successo, l'impegno dell'Ue a presentare a settembre la moratoria sulla pena di morte all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.


Si è stato un successo pieno dei Radicali Italiani e dell'associazione Nessuno Tocchi Caino nonostante l'ostracismo deliberato e non casuale che i burocrati di Bruxelles hanno opposto fin dal '94. Una tappa raggiunta grazie all'oltranza e alle autonomie sulle quali si fonda la galassia radicale.
Importante è stato il sostegno deciso di moltissimi singoli e soprattutto di numerosi premi Nobel. Un successo, si, ma non una vittoria perché anche quando la moratoria sarà ratificata dall'Onu la pena di morte sarà ancora lungi dall'essere sconfitta. Dopo la lotta, insomma, viene ancora la lotta.


Quali saranno allora le vostre prossime mosse?


Ancora iniziative non violente, tra le quali l'immediata pubblicazione di un "libro bianco" in cui vengano elencati i passi che fin dal 1994 abbiamo intrapreso e gli ostacoli che ci si sono parati dinanzi. Non ultimo la lentezza decisionale e operativa della Farnesina.


Parliamo dei vostri metodi di lotta. Metodi non violenti spesso estremi...


ma non estremisti perché l'estremismo è l'ideologizzazione di una condizione estrema che invece è conquista.


Certo, ma non c'è il rischio che questi metodi, usati di continuo, spostino l'attenzione sulle persone oscurando gli obbiettivi?


Il primo rischio non è sulla persona ma sullo strumento. Si tende a schivare la meta che io indico parlando dello strumento della non violenza e del digiuno da noi utilizzato. Ma una cosa certamente è vera: repetita iuvant. Oggi nel ceto dominante e nel potere c'è un enorme rispetto di fatto dei nostri metodi. Altrimenti come si spiegherebbero le conquiste che regolarmente facciamo?


Passiamo alla sua visita a Perugia in occasione della ricorrenza della strage del XX giugno 1859 da parte della chiesa di Roma. Il tema sarà la laicità ovviamente. Dove, secondo lei, lo stato manca in fatto di educazione alla laicità?


Più che le mancanze posso eventualmente cercare, e ho qualche difficoltà a trovarle, le non mancanze. Anche perché penso che sia molto importante dire che ciascuno ha la sua visione di laicità e di religiosità. Per quanto riguarda la mia, sono 40 anni che insisto su una determinata impostazione che mi sembra trovare , nel tempo , delle conferme. Per me la laicità e la religiosità partono entrambe dalla coscienza e dalla responsabilità individuale. Oggi noi parliamo di una religiosità , diversa da quella pagana, che pone un problema di rapporto tra la coscienza individuale e il "mistero". La scienza stessa dimostra che quanto più si sa tanto più l'orizzonte del mistero e della trascendenza si allontana. Poi abbiamo il problema delle varie religioni rivelate o dei vari libri che non comportano di per se l'istituzionalizzazione dell'interpretazione del libro e della rivelazione. Quando entriamo in questo aspetto, per il laico, il problema è sia nei confronti di Cesare che di Pietro perché il laico, il liberale o il credente non tollera che sia Cesare a invadere la sua coscienza e a pretendere di educarlo invece che di informarlo. Si dice sempre "il laico è per lo stato e il credente è per la religione", non la religiosità. Il che , nel mondo orientale, in particolare in quello buddista, non trova alcun corrispettivo. Quindi oggi il laico, ma anche il liberale è anti-totalitario ovunque. È quello che evoca ed impone per primo l'obbiezione di coscienza.
Poi c'è l'obbiezione di coscienza non violenta che è una obbiezione pratica affidata alle responsabilità dell'individuo. Non bisogna confondere le due cose che sono contigue ma non la stessa. C'è una storicità nell'evoluzione dei laici. Credo che oggi la laicità è un attributo storicamente "naturale" della religiosità. Così come la religiosità, cioè il rispetto della trascendenza e del mistero, è un connotato del laico il quale non consente allo stato nemmeno quello che non consente alla chiesa. Bisogna riconoscere storicamente che nella fase antropologica che viviamo, la legalizzazione è il metodo liberale per eccellenza mentre la liberalizzazione deve trovare delle giustificazioni storiche particolari. Se c'è qualcosa che davvero vive antropologicamente come senso comune lo stato è bene che non se ne occupi.
Se, invece, abbiamo una realtà nella quale si ritiene che sia necessario assecondare e accelerare un processo evolutivo in un senso ben preciso, interviene la legalizzazione.


Durante le vostre battaglie raccogliete sempre un vastissimo consenso.
Questo vale ancor di più per quella attuale?


Si, l'Italia con la Spagna sono i paesi che hanno la più netta maggioranza di persone contrarie alla pena di morte. Si parla del 75%. Ma anche il caso Welby testimonia una riflessione diffusa sulla vita, la morte, il corpo, la malattia e i diritti. Altro esempio è la crescente sensibilità di coloro che comprendono che è giusto superare una certa interpretazione del sesso, dell'amore, della convivenza, a prescindere dall'orientamento sessuale.


I mezzi di comunicazione spesso fanno orecchie da mercante alle vostre battaglie.


Hanno paura di mostrarci quando siamo in una fase avanzata di sciopero della fame perché hanno imparato che la non violenza è l'esposizione della nuda verità attraverso il proprio corpo, che deperisce ma che , in quel momento , è anche dimostrazione di grande forza umana.


Cosa ne pensa del referendum sul dimezzamento degli stipendi dei consiglieri regionali recentemente negato agli umbri?


Il potere è così impotente che ha continuamente necessità di trovare furbizie e pretesti. Non riesce mai a dettare legge o a rispettare la legge dettata. Il potere vissuto come dominio sugli altri non tollera nessuna regola, a cominciare dalla propria. Bisogna affrontare costantemente quello che l'arte ci insegna da sempre: la grande tragedia greca ci spiega che il potere rende pazzi e lo si ritrova nella grande tragedia di Shakespeare fino ad arrivare a Becket. L'esempio del referendum umbro è un simbolo della verità italiana dove la legge vigente non è mai la legge scritta.


Un brutto paradosso?


No . Purtroppo questa è la realtà, non è un paradosso.


 


la Sera, 23 giugno 2007


Grazie ad Adamu Ali per averci concesso la pubblicazione dell'intervista.


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