Elisabetta Chiacchella, la prima a sinistra nella foto |
«Davvero
vale la pena seguire il dibattito che Il
Messaggero Umbria sta ospitando nelle sue pagine per mettere a fuoco il
tracciato che occorrerebbe seguire da qui in avanti per dare alla nostra città
una impostazione sostanzialmente diversa rispetto alle politiche culturali
precedenti. Lorena Rosi Bonci ha accennato, fra le tante urgenze (turismo,
spazi storici degradati o non visitabili nell’acropoli e così via) anche alla
tematica dell’inclusione femminile a partire dal lessico degli amministratori,
auspicando a breve un circolo dei lettori e delle lettrici a Perugia, cosa che mi ha fatto molto piacere:
sarebbe il segno, se attuato, che altri provvedimenti del genere e di genere possano
ricevere attenzione da parte dell’assessore
Teresa Severini.
Occorre
infatti che le differenti anime della città, quelle delle cittadine e dei
cittadini che risiedono lungo il Tevere
oppure nelle periferie, come quelle della
cittadinanza stabile o degli studenti
che vivono nell’acropoli ─ oltre che
nei quartieri quasi dismessi del centro ─,
trovino risposte adeguate al bisogno essenziale di attenzione verso la propria misura, rispettose del loro sentimento
di essere parte significativa dello spirito della città, non confinati
solamente nel proprio microcosmo (un esempio solo per intenderci: non possiamo
dare il dialetto ai ponti per rafforzare le buone vecchie tradizioni, ché a
loro piace così, magari riproponendo un macchiettismo tardo maschilista nelle
poesie, facendo finta che lì non abitino tantissimi migranti e che l’inclusione
non sia indolore... Per creare convivenza possibile, bisogna lavorarci
culturalmente! Sia con gli italiani che con gli stranieri.)
Infatti
come tutti ormai sanno, una città è l’incarnazione visibile e sensibile delle
generazioni che vi hanno dimorato, vi dimorano, l’attraversano. I rapporti
umani che si stabiliscono negli spazi pubblici, al chiuso e all’aperto, in
mezzo alla straordinaria nonché significativa bellezza in cui ci muoviamo
-spesso senza percepirla- dipendono in larga misura dalla visione che la classe politica, vale a dire le donne e gli
uomini investiti del mandato dell’azione concreta per conto dei cittadini, porta alla luce e mette in essere.
Nella
nostra città, quindi, la vocazione del luogo ha bisogno di essere ascoltata. Sostenere
o finanziare progetti culturali senza avere una visione lungimirante della
strada da imboccare non aiuta a uscire dall’inerzia. Anzi, rischia di far
rimanere i rapporti umani - che si
sviluppano all’ombra delle decisioni assunte a Palazzo dei Priori - fermi in una collocazione gerarchica, passatista e nostalgica: slegata fra le
classi e i quartieri, una specie di pelle di serpente abbandonata.
Alla
luce di tutto questo invitiamo chi ha la responsabilità del governo culturale
della città ad ascoltare le voci che pubblicamente si stanno levando affinché Perugia
si possa aprire a una consapevole discontinuità culturale nei prossimi anni,
fino a diventare più inclusiva, laica (ne avremmo tanto bisogno, per
non soffocare nel moderatismo o nel francescanesimo di maniera!), internazionalmente connessa, rispettosa dei rapporti fra i generi,
alla ricerca di capacità che, pur
esistendo, ancora non hanno trovato la strada per farsi ascoltare. »
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