La legislazione
regionale in materia di legge elettorale e di strumenti di partecipazione
popolare tra cui i referendum, rappresenta in materia plastica la scarsa sensibilità istituzionale in materia
dei più elementari diritti democratici dei cittadini, come dimostra anche
la riottosità nel nominare figure di garanzia e di controllo (commissione di
garanzia statutaria, garante dei detenuti, difensore civico, garante per
l’infanzia).
Oggi abbiamo la possibilità di migliorare le cose in
maniera significativa. Sta ora alla
onestà e alla buona volontà dei consiglieri regionali chiudere il loro mandato
quinquennale dando un deciso cambio di rotta rispetto a quanto fatto in
passato.
LA LEGGE
ELETTORALE REGIONALE
Nel 2002, il Consiglio d’Europa, attraverso la
Commissione Europea per la democrazia attraverso il diritto, riunitasi a
Venezia il 18 e 19 ottobre, ha elaborato il “Codice di buona condotta in materia elettorale”, un documento al
quale dovrebbero ispirarsi le leggi elettorali dei paesi dell’Unione affinché
siano garantiti i principi cardine e i diritti elementari in materia di
competizione elettorale e che è stato approvato dal Parlamento Europeo nel
2003.
Tra i principi
enunciati nel documento e meritevole di tutela vi è quello della “stabilità del diritto”.
“se le norme cambiano spesso, l’elettore può essere
disorientato e non capirle a tal punto che potrebbe, a torto o a ragione,
pensare che il diritto elettorale sia uno strumento che coloro che esercitano
il potere manovrano a proprio favore, e che il voto dell’elettore non è di
conseguenza l’elemento che decide il risultato dello scrutinio. La necessità di
garantire la stabilità, in effetti, non riguarda tanto i principi fondamentali,
la cui messa in causa formale è difficilmente immaginabile, quanto alcune norme
più precise del diritto elettorale, in particolare il sistema elettorale, la
composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle
circoscrizioni. Questi tre elementi
appaiono sovente come determinanti per il risultato dello scrutinio ed è
opportuno evitare, non solamente le manipolazioni in favore del partito al
potere, ma anche le stesse apparenze di manipolazioni.
Ciò che è da
evitare, non è tanto la modifica della modalità di scrutinio, poiché
quest’ultimo può essere sempre migliorato, ma la sua revisione ripetuta o che
interviene poco prima dello scrutinio (meno di un anno). Anche in
assenza di volontà di manipolazione, questa apparirà in tal caso come legata ad
interessi congiunturali di partito.”
Cioè, mentre in
Italia si tende sempre a pensare che le leggi elettorali debbano essere
cambiate in prossimità della scadenza elettorale, l’Europa ci chiede che
bisogna fare l’esatto contrario. Non solo, aggiunge che “uno dei mezzi per evitare queste manipolazioni è di definire
all’interno della costituzione o in un testo superiore alla legge ordinaria gli
elementi più sensibili (sistema elettorale, composizione delle commissioni
elettorali, circoscrizioni o norme sulla suddivisione dei collegi)”. Oppure
di prevedere che “in caso di cambiamento della legge elettorale, il vecchio sistema resti
applicabile alla prossima elezione nel caso in cui quest’ultima avvenga
nell’anno immediatamente successivo”.
In Umbria si è già
incappati nell’errore di approvare la legge elettorale attualmente in vigore il
4 gennaio 2010, cioè a meno di 3 mesi
dallo svolgimento delle elezioni regionali. E oggi, a distanza di 5 anni,
si sta verificando la stessa situazione. Il Consiglio Regionale sta discutendo
la nuova legge elettorale regionale e si appresterà ad approvarla nei prossimi
mesi.
D’altra parte non
sfugge che soprattutto per effetto della riduzione del numero dei consiglieri
imposta per legge, una revisione si rende quasi necessaria. Ma di modifiche
alla legge elettorale si parla ormai da 2 anni e proprio ad ottobre 2012
facemmo come associazione radicaliperugia.org un comunicato col quale
chiedevamo al Consiglio una particolare attenzione sui tempi dell’approvazione
per non arrivare a ridosso della consultazione elettorale come avvenne nel
2010. Raccomandazione caduta nel vuoto.
L’approvazione di
una legge elettorale troppo a ridosso della consultazione non riguarda
solamente i pericoli evidenziati dalla Commissione di Venezia su (anche solo il
sospetto) di manipolazioni a favore dei partiti in quel momento al potere, ma
pone pure serie pregiudiziali sui
principi costituzionali di uguaglianza e sul pieno godimento dei diritti di
elettorato attivo e passivo. Infatti non sapere, se non a ridosso delle
elezioni, con quale sistema elettorale si andrà a votare, rende molto
difficoltoso l’accesso alla consultazione per i partiti e i movimenti che
intendono partecipare, soprattutto per quelli che attualmente non sono
rappresentati all’interno dell’assemblea da rinnovare. E’ di tutta evidenza che
un sistema a turno unico o a doppio turno condiziona fortemente la politica
delle alleanze, il numero delle circoscrizioni o dei collegi influenza la
composizione delle liste e così via. Potersi organizzare per tempo in tal senso
è la prima condizione per una efficiente campagna elettorale, considerando
anche la questione della raccolta delle firme.
Cinque anni fa in Umbria si è fatto di peggio. Oltre all’approvazione della nuova legge elettorale
nell’imminenza della elezioni si sono approvate una serie di norme in materia
di raccolta delle firme volte a garantire i partiti già presenti all’interno
del Consiglio Regionale a scapito di quelli che ne stavano fuori. Di solito in fase di prima applicazione
di una nuova legge elettorale, soprattutto se questa avviene a ridosso della
consultazione, si prevede una clausola
che dimezza il numero di firme necessarie proprio per ovviare alla
contrazione dei tempi a disposizione per l’organizzazione delle liste. Persino
il procellum di Calderoli lo aveva previsto. In Umbria no. Nella legge n. 4 del
2010 non c’è nessuna agevolazione in fase di prima applicazione. Non solo, il numero di firme minime necessarie per
presentare una lista aumentò passando da 1.000 a 1.200 per la
circoscrizione della provincia di Terni e da 1.750 a 2.000 per la lista della
circoscrizione di Perugia e per il listino regionale. Inoltre fu stabilita l’esenzione dalla raccolta delle firme per i
partiti già rappresentati all’interno del Consiglio o in una delle due
Camere del Parlamento.
Il risultato fu che i
partiti che non erano rappresentati in consiglio hanno conosciuto le modalità
su come andavano formate le liste solo 3 mesi prima delle elezioni, hanno avuto
un mese di tempo per la raccolta delle
firme (perché la perversione normativa vuole anche che non potevano essere
valide le firme raccolte prima dell’entrata in vigore della legge, cioè il 21
gennaio) quando di norma si hanno 180 giorni (6 mesi) di tempo e soprattutto lo
hanno dovuto fare in un regime di
“concorrenza sleale” con i partiti già presenti in consiglio.
Per raccogliere le
firme in maniera legale infatti occorre che vengano apposte su dei moduli
completi in tutte le sue parti, inclusa l’indicazione dei candidati.
E’ di tutta evidenza
che mentre i partiti già in consiglio hanno potuto “chiudere” le liste la
mattina stessa della loro presentazione (25 febbraio) con tutti i vantaggi che
ne conseguono in termini di organizzazione, trattative, possibilità di
convincere personalità di spicco, ecc., tutti gli altri hanno dovuto “chiudere”
le liste un mese prima.
Il risultato fu
chiaro: Alle elezioni del 2010
riuscirono a presentare la candidatura alla presidenza della regione solo i
partiti che erano esentati dalla raccolta delle firme. Nessuno di quelli
che aveva tale gravoso onere riuscì nell’impresa.
All’epoca, in
rappresentanza della lista Bonino, chiedemmo un incontro con l’allora
presidente del Consiglio Regionale Bracco per esporgli le problematiche
connesse all’approvazione della nuova legge elettorale così a ridosso delle
elezioni. Bracco dimostrò di non capire (o fece finta di non capire) nulla di
tutto ciò, tanto che al termine dell’incontro, quasi a trattarci come
questuanti che chiedevano solo un occhio di riguardo per loro stessi, disse che
avrebbe valutato con i suoi uffici se c’era modo di favorire una esenzione
dalla raccolta firme per la nostra lista agganciandosi in qualche modo ai
parlamentari radicali eletti nelle liste del PD. Alla mia osservazione “Scusi,
è tutti gli altri?” rispose candidamente “lei mi piace perché è un idealista,
ma la politica si muove con altre dinamiche”… Ovviamente finì tutto con un
nulla di fatto.
In vista delle
elezioni del 2015 si rende dunque necessario un punto di attenzione particolare
su tre aspetti: la previsione di
clausole in sede di prima applicazione che rendano meno gravosa la raccolta
delle firme (ad es. il dimezzamento del numero minimo necessario); la parità di trattamento tra i partiti
per la raccolta delle firme (o c’è esenzione per tutti o per nessuno); l’approvazione della nuova legge
elettorale nei termini più ristretti
possibile perché siamo già in enorme e colpevole ritardo rispetto alle
raccomandazioni contenute nel “Codice di Buona Condotta in materia elettorale”,
ritardo che può portare alla presentazione
di ricorsi a vari livelli come accaduto in passato.
Quanto a
quest’ultimo punto, apprendiamo a mezzo stampa della volontà del Consiglio di
approvare la legge entro il 30 settembre ma non possiamo che nutrire forti
perplessità sul fatto che tale data sia rispettata. Ricordiamo come questo Consiglio Regionale, unitamente al
precedente, non sia stato in grado di rispettare i tempi dettati dalle
normative, figuriamoci cosa può accadere quando i termini sono solo intenti
enunciati su base volontaria.
Alcuni esempi:
-
La Commissione di garanzia statutaria è
stata istituita con legge regionale del 31 luglio 2007 e nominata la prima
volta il 12 ottobre 2010;
-
Il Garante dei detenuti è stato istituito
con legge regionale il 18 ottobre 2006 e nominato la prima volta l’8 aprile
2014 e solo dopo che è stato abbassato il quorum necessario dalla quarta
votazione;
-
Il Garante per l’infanzia è stato istituito
con legge regionale il 29 luglio 2009 e nominato il 22 gennaio 2014;
-
Il difensore civico, previsto anche dallo
Statuto, è stato istituito una prima volta nel lontano 1995 e poi oggetto di
profonda revisione normativa il 27 novembre 2007, non è stato mai nominato;
-
La Commissione di
Garanzia Statutaria il 26 marzo 2014 ha stabilito che il punto c) dell’art. 28 c. 1 della L.R. n 14/2010 in materia di
referendum è contrario allo Statuto Regionale e il Consiglio non ha ancora
provveduto a riesaminarlo (vedi punto sotto).
Si rende imperativo
dunque che sia la Commissione competente che il Consiglio intensifichino la
loro attività, riducendo all’occorrenza il periodo di sospensione estiva e
aumentando la frequenza di convocazione (il Consiglio nel corso del 2014 si è
riunito appena 19 volte), per giungere ad una approvazione quanto più rapida
possibile. Ce lo chiede l’Europa (cit.)…
Statuto della
Regione Umbria, art. 22: “La Regione riconosce il referendum quale
istituto di democrazia partecipativa e ne favorisce l’utilizzazione”.
Quanti referendum
abrogativi o consultivi si sono tenuti in Umbria? Nessuno. Ma non per disinteresse dei cittadini o per l’efficienza
legislativa della regione. Semplicemente in Umbria è IMPOSSIBILE lo svolgimento di un referendum. Infatti la normativa
vigente stabilisce che non si può svolgere un referendum regionale né in
concomitanza con le elezioni regionali (e qui ci sta tutto), né in concomitanza con elezioni politiche,
europee e amministrative. Cioè MAI.
Una storia che parte da lontano
Nel lontano luglio
2003 il Consiglio Regionale approvò una norma che aumentò l’emolumento dei consiglieri di circa il 23%. Nell’estate
successiva sono state raccolte,
autenticate e certificate 13.800 firme di cittadini umbri che proposero un referendum abrogativo di quella norma.
All’epoca era in
vigore la L.R. n. 22 del 1997 che all’art. 7 c. 1 stabiliva che “Entro il 31 gennaio il Presidente della
Giunta regionale indice con decreto il referendum [...] fissando la data di
convocazione dei comizi elettorali in una domenica compresa tra il 15 aprile ed
il 15 giugno.” e all’art. 9 c. 1 che il referendum “è sospeso nei due mesi antecedenti e successivi alla data delle
elezioni politiche, regionali o amministrative o delle consultazioni
referendarie nazionali”.
La presidente
Lorenzetti fissò una prima volta il referendum per il 5/06/2005, poi sospeso
per la concomitanza con le elezioni regionali. Fissò una seconda volta il
referendum l’11/06/2006, poi sospeso per la concomitanza con le
elezioni politiche. Fissò una terza volta il referendum il 10/06/2007, poi sospeso
per la concomitanza con le elezioni amministrative di Bettona, Cascia, Deruta,
Monteleone di Spoleto, Todi, Valtopina, Attigliano, Narni e Parrano.
Si noti che, come
facilmente intuibile, tali tipi di elezioni grazie alle quali operò la
sospensione, non furono eventi
improvvisi ed inaspettati, ma chiaramente conosciuti e preventivabili
poiché arrivati a loro scadenza naturale. Ed è altrettanto facilmente intuibile
che tutti gli anni si svolgono elezioni almeno di un tipo (in un ciclo
quinquennale un anno ci sono le regionali, un anno ci sono le politiche, un
anno ci sono le europee e TUTTI GLI ANNI
ci sono elezioni amministrative in almeno un comune umbro così che non si
può neanche “sperare” che una elezione anticipata di qualche assemblea liberi
un buco disponibile per far svolgere il referendum).
Ma quella legge del
1997 prevedeva una scappatoia all’art. 9 c. 5: “Nell'ipotesi di sospensione del referendum […], il Presidente della
Giunta […] può fissare la nuova data di convocazione dei comizi elettorali in
una domenica compresa tra il 1 ottobre ed il 15 novembre dello stesso anno,
ovvero nell'anno successivo”. Quindi la
Lorenzetti avrebbe potuto esercitare la facoltà di far slittare il
referendum all’autunno successivo o all’anno successivo nel periodo previsto
dal comma 1 dell'art. 7 (dal 15/04 al 15/06, ndr). Che cosa ha fatto? Ha sempre scelto di spostare il referendum
all’anno successivo ben sapendo dell’impossibilità di poterlo effettuare,
evitando scientemente la possibilità di indirlo tra il 1° ottobre e il 15
novembre, periodo nel quale si sarebbe potuto tenere.
Alla terza
sospensione nel 2007 cominciava però a montare una certa onda di protesta e fu annunciato un esposto da parte del
comitato referendario contro la presidente Lorenzetti per omissioni e ritardi d’ufficio, per cui il referendum fu
finalmente spostato all’11 novembre 2007.
Nel maggio 2007 però
il Consiglio Regionale votò una nuova
legge all’unanimità che
agganciava gli emolumenti dei consiglieri non più a quello dei parlamentari
nazionali ma a quello dei presidenti di sezione della Corte di Cassazione, cosa
che secondo gli estensori avrebbe
portato ad una diminuzione dell’8% andando così incontro alle richieste dei
promotori del referendum (sic…).
La cosa carina è che
per un errore formale nell’estensione della norma, poi fortunatamente corretto
con una delibera del consiglio, inizialmente
lo stipendio dei consiglieri subì un aumento di 20 euro, e comunque alla fine
la riduzione effettiva fu di circa il 4,4%.
A questo punto il 19
giugno 2007 il Consiglio Regionale,
ancora una volta all’unanimità,
stabilisce che per l’intervenuta modifica legislativa della norma sottoposta a
referendum, questo non ha più ragione di esistere con tanti saluti ai
13.800 firmatari e all’istituto referendario stesso.
Non finisce qui…
Il 16 febbraio 2010
il Consiglio Regionale emana una nuova
norma in materia di “Disciplina degli
istituti di partecipazione alle funzioni delle istituzioni regionali
(iniziativa legislativa e referendaria, diritto di petizione e consultazione)”.
E anche stavolta a chiacchiere si va alla grande. Subito l’articolo 1
sentenzia che “La Regione promuove la
partecipazione dei cittadini, singoli ed associati, alle funzioni legislative,
amministrative e di governo delle istituzioni regionali e l'esercizio del
referendum quale istituto di democrazia partecipativa”.
Quindi, nei fatti, avranno
trovato sicuramente un modo per ovviare ai problemi avuti in passato dal
combinato disposto della vecchia norma e dei comportamenti boicottatori della
presidente Lorenzetti? Neanche per sogno, anzi, la situazione è peggiorata e il referendum definitivamente defunto.
A norma di legge…
La L.R. 14 del 2010
prevede 4 tipi di referendum: abrogativo, consultivo, su fusione o istituzione
di nuovi comuni e sulle modifiche allo Statuto. La data di svolgimento è
compresa tra il 15 aprile e il 30 giugno e viene riproposta la scellerata
disciplina sulla sospensione con l’articolo 28 c. 1 che stabilisce che le
operazioni e le attività connesse al referendum vengono sospese “a) nei sei mesi precedenti la scadenza del
Consiglio regionale e nei sei mesi successivi alla elezione del nuovo Consiglio
regionale; b) in caso di anticipato scioglimento del Consiglio regionale nel
periodo intercorrente tra la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi
elettorali e i sei mesi successivi all'elezione del nuovo Consiglio regionale; c)
all'atto della pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali per
lo svolgimento di elezioni politiche, nazionali o amministrative.”
Non solo, nella nuova disciplina è sparita la
“scappatoia” di poter spostare il referendum all’autunno successivo. Quindi
con la L.R. n. 14 del 2010 è stata sancita, a norma di legge (!), l’oggettiva impossibilità di poter svolgere
un qualunque tipo di referendum in Umbria
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi…
All’inizio di
quest’anno però succede qualcosa di imponderabile. C’è un progetto di fusione
di 5 comuni dell’alto orvietano. E per poter fare la fusione, la Costituzione
impone che siano sentiti i cittadini.
Ohibò… e come
facciamo a sentire i cittadini in Umbria dal momento che è impossibile fare un
referendum? Siccome stavolta il referendum
è voluto (non solo, ma principalmente) dal
PD, che si fa? Si cambia la legge. E si tenta di fare la porcata delle porcate: modificare la legge eludendo la sospensione prevista al punto c) dell’art. 28 c. 1
(concomitanza con elezioni politiche e amministrative) per i soli referendum su
fusione e istituzione dei nuovi Comuni, infischiandosene di quelli abrogativi e
consultivi.
Non tutti per
fortuna accettano supinamente e il presidente della prima commissione Dottorini convoca una pubblica audizione
aperta ai soggetti interessati alla modifica della norma. Partecipo
all’audizione in rappresentanza della locale associazione radicaliperugia.org e
faccio presente che l’occasione è
ghiotta per porre rimedio alla truffa democratica in atto e che la sospensione
del punto c) va totalmente eliminata in modo tale da poter consentire anche in
Umbria lo svolgimento di referendum popolari conformemente a quanto stabilito
dallo Statuto.
Giovedì 6 marzo 2014 va in scena in Consiglio
Regionale la farsa. Dottorini presenta
un emendamento per eliminare il punto c) dell’art. 28 c.1 e porre così fine a
questo vulnus democratico e fa un accorato appello per la sua approvazione. In
fase dibattimentale non interviene nessuno (il capogruppo PD Locchi non aveva
nulla da dire?) e l’emendamento viene
respinto con 5 soli voti a favore. Votano contro Locchi, la presidente
Marini e con loro altri consiglieri che fanno parte di un partito che si
dichiara “democratico”. Passa un altro emendamento di Dottorini che se non
altro non fa intervenire la sospensione per i referendum consultivi. Ma per
quelli abrogativi nulla, restano tuttora impossibili da svolgere. D’altronde è
facile capire il perché: i referendum consultivi non vincolano giuridicamente
il Consiglio Regionale che può recepire l’orientamento popolare ma può anche
disattenderlo.
A questo punto
restava un’ultima carta da giocare,
prevista dall’articolo 82 dello Statuto. Invocare un parere della Commissione
di Garanzia Statutaria sulla conformità della legge sui referendum allo
Statuto. Dottorini accolse il mio invito a percorrere questa strada.
Servivano 11 firme. E almeno stavolta c’è stato un sussulto d’orgoglio democratico di 11 consiglieri che meritano la
citazione: Dottorini (Idv), Goracci (Misto), Cirignoni (Lega), Stufara (Rc),
Brutti (Idv), Mariotti (Pd), Galanello (Pd), Nevi (Fi), Cintioli (Pd),
Valentino (Fi), Monni (Ncd). Emblematico il caso del PD dove firmano solo 3
consiglieri su 13.
Quindi la palla
passa alla Commissione di Garanzia Statutaria presieduta dal prof. Volpi e
l’esito è scontato: il 26 marzo la
Commissione stronca totalmente la sospensiva prevista al punto c) dell’art. 28
c.1 che viene dichiarato contrario allo Statuto (addirittura la Commissione
sostiene che il richiamo “tout-court” a elezioni amministrative può far sì che
la norma venga interpretata che il referendum viene sospeso in concomitanza con
le elezioni di qualsiasi comune del territorio italiano…).
L’articolo 82 dello
Statuto impone ora al Consiglio di riesaminare la norma dichiarata non
conforme. Sono passati 4 mesi da allora e
nulla ancora è stato fatto.
Chiediamo dunque che il Consiglio Regionale proceda
senza ulteriore indugio ad approvare la semplice norma composta da un solo
articolo che abroghi il punto c) dell’art. 28 c.1 della L.R. 14/2010.
I fatti sopra
riportati dimostrano inequivocabilmente su questa tematica la malafede politica della massima istituzione legislativa regionale
(con le lodevoli eccezioni di Dottorini, di chi ha votato il suo emendamento e
in subordine di chi ha, con la propria firma, consentito di interpellare la
Commissione di Garanzia Statutaria).
Perché un conto è
dire che quando fu approvata quella legge nel 2010 può essere sfuggito per
errore o distrazione (e può succedere) il perverso meccanismo per il quale è
impossibile svolgere referendum, altra cosa è perseverare con questo mostro giuridico quando è stato fatto notare l’errore
e quando si aveva la possibilità di porvi rimedio in maniera semplice e
lineare.
Ora si apre
quest’altra possibilità e vedremo se stavolta il Consiglio si degnerà di mettere una toppa. Con buona pace dei
locchi, dei bracchi, delle marini e di quel simpatico sindaco PD di uno dei comuni
orvietani oggetto di fusione che dopo il mio intervento nell’audizione di marzo
in commissione, mi avvicinò apostrofandomi: “tu hai ragione ma sollevando la
questione in questi termini ci stai mettendo i bastoni tra le ruote.” (!?!)
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