L’illegalità
diffusa nel carcere non è frutto
di una situazione particolare, accentuata dalla crisi economica e destinata ad
essere superata. Nasce dall’identificare il carcere con la pena, una pena
spogliata della funzione di riabilitazione, che non è un dettaglio trascurabile
ma il valore e il fine stesso che la Costituzione e la giurisdizione le
attribuiscono. Eludere questa funzione è la violazione di un diritto che facilmente
predispone alla violazione di altri diritti, primo fra tutti quello alla
salute; è l’anticamera della negazione del valore della persona proprio in quel
luogo in cui dovrebbe essere affermato con forza perché è a partire da questo
che tutti gli altri possono essere ricostruiti da chi ha commesso reati, anche
gravi. Il sovraffollamento stesso, di cui si parla come il male che affligge il
carcere, è solo il dito che indica la luna: conseguenza e non causa della
illegalità.
Se si accetta tutto questo come inevitabile, se si
pensa che la mancanza di risorse economiche o la sicurezza (ammesso che il
carcere produca sicurezza) ben valga la violazione di diritti e di valori
fondamentali, il problema delle carceri purtroppo resterà.
La presenza del garante, contribuendo alla tutela
dei diritti, può essere veicolo di una cultura basata sulla legalità, condizione
necessaria alla sicurezza in quanto consente di limitare i danni sulla salute
fisica, psicologica e sociale, che la violazione dei diritti e la detenzione
stessa producono sulla persona detenuta. Danni che si manifesteranno poi con
aumento della distruttività e della recidiva.
Nessun commento:
Posta un commento