sabato 17 giugno 2017

La laicità al centro della quinta edizione del Perugia Pride Village

L’amore è libero solo chi lo teme si scandalizza.
La laicità al centro della quinta edizione del Perugia Pride Village.




Il tema della quinta edizione del Pride Village Perugia è “laicità”.
Anche quest’anno Radicali Perugia aderisce assieme a Certi Diritti Associazione Radicale al Pride Village Perugia.

Dopo l’approvazione della legge regionale umbra contro l’omotransfobia, lo scorso 4 aprile, quest’anno il Pride a Perugia ha un colore in più; quello della speranza che anche l’Italia sfoggi presto il suo abito migliore, un abito laico che tuteli le persone dalle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.


La laicità cos’è? Come possiamo esprimere il concetto di laicità?
La laicità è il rispetto di tutte le realtà della persona; ogni sfera della persona a partire dalla principale ed onnicomprensiva della sessualità, deve essere rispettata attraverso una tutela culturale e giuridica.
Essere laici vuol dire mettersi sempre in discussione difronte alle diversità altrui; mettersi in discussione nelle modalità di accettazione e di rispetto che adottiamo; essere laici vuol dire essere persone con una dignità che ha la sua realizzazione nel riconoscimento delle tante altre dignità, seppur discordanti con la propria idea di dignità.
Essere laici è giudicare sé stessi in rapporto al proprio comportamento nei confronti del diverso, essere fermi nelle proprie idee senza che queste ostruiscano la sfera umana dell’affettività, della socialità, della legalità e della civiltà.
Per questo quando sento parlare alcuni “gruppi” di femministe che si accaniscono contro la maternità surrogata (GPA- puntualmente definita utero in affitto) mi si propone davanti uno scenario che ha in sé una carica conservatrice spaventosa di certi ideali culturali e tradizionali che, appellandosi alla naturale funzione dell’utero femminile, issa la bandiera dell’inviolabilità della cultura-sistemica basata sulla dicotomia sottomissione-profitto; esse stesse nell’imporre a tutte le altre donne, ovvero a tutte le altre persone, di non poter donare il proprio utero per generare una vita per due omosessuali o per due eterosessuali (o quando la giurisdizione lo concepirà, ad un padre o ad una madre single o ad un matrimonio “a tre”) sanciscono la loro realtà, il loro triste motivo esistenziale per cui la sicurezza delle proprie idee e scelte di vita dipendono indissolubilmente dall’obbligo di rispetto, di queste, da parte delle altre persone; questo meccanismo lega questi gruppi al sistema in un rapporto di equilibri socio-inclusivi; l’ex deviato che incluso nella società dovrà realizzarsi attraverso appositi schemi pre-confezionati, rispetto a quelli che reggono l’élite della maggioranza “puritana” ovvero di coloro che al posto di un gemito durante il medesimo atto sessuale, sfoderano un do di petto.

Il concetto che sta alla base di tutto è quello del capitalismo e del mercato; per le femministe la GPA porterebbe ad un mercato del corpo della donna e non rispetterebbe la sua natura in quanto la donna, pur scegliendo di donare il proprio utero, nella sua scelta stagnerebbero condizionamenti globalizzanti e estranianti che la condurrebbero ad una sorta di incapacità di intendere e di volere essendo, a loro avviso, non cosciente della sacralità dell’utero che porta dentro sé.

Una sorta di peccato originale incarnato nell’utero e non più nell’anima, porta questi gruppi conservatori ad appellarsi proprio a quel sistema che un tempo le voleva quasi inesistenti, silenziose, impercettibili nel progresso sociale.
Questa “spirale del silenzio” che vagheggia nei meandri bollenti delle femministe “alla beautiful” mi ricorda tanto i moralisti che rivendicano il “No” al matrimonio egualitario; proprio perché in questo vedono solo capitalismo e distruzione di quella sfera intima e segreta, tanto comoda ai molti del “vizietto borgese” e tanto scomoda ad altri, meno fortunati, che si vedono vietare un’esistenza libera e appagante essendo di estrazione sociale inferiore.

La questione del matrimonio egualitario è importante e spesso viene usata come arma a doppio taglio. Le unioni civili ci hanno permesso di avere due modelli di unione; uno laico aperto agli omosessuali ed uno religioso; i diritti riconosciuti nelle unioni civili sono quasi identici a quelli del matrimonio seppur la parte fondamentale per una piena uguaglianza, ovvero con le adozioni (attraverso una riforma del diritto di famiglia che non si limiti all’adozione del figliastro), dobbiamo ancora raggiungerla; non bastano le sentenze della giurisdizione.
Molti si chiedono perché pretendiamo il matrimonio egualitario quando abbiamo le unioni civili che garantiscono i medesimi diritti di convivenza?
Allora, il punto è che in una società laica non può esistere un istituto superiore “matrimoniale” rispetto ad un altro; dovrebbe esistere un unico istituto “matrimoniale” laico aperto ad omosessuali ed eterosessuali.
Questa è la laicità, mettere la primo posto le dignità delle persone e non i credo religiosi, mettere al centro la persona in quel sano individualismo che non fa soccombere le minoranze ma, anzi, ne esalta le diversità, includendole ad essere parte unica ed irripetibile di un ciclo economico-sociale e soprattutto di valori umani tale da creare la diversità culturale del singolo; creare la bio-diversità del concepimento, creare nuove speranze e possedere così una sana alternativa alla tirannia della maggioranza; la maggioranza formata dai concetti di pochi appartenenti alle élite non solo del governo ma anche alle élite istituzionali che spesso operano un lavaggio del cervello e della coscienza, attraverso l’uso moralmente incosciente di quei mezzi sacri, come libri, filosofie e poesie per portare la rinnegazione dentro l’essere umano come dote e virtù di chi, possedendo questa forza risolutiva e reprimente (concernete la pena della “via crucis”) riesca ad avere in mano il potere presente per estenderlo nel futuro della sua e delle altrui generazioni.

Purtroppo la laicità è sempre reinterpretata e mai applicata; è un comodo eufemismo soprattutto al ridosso delle campagne elettorali dove ognuno impugna una presunta vittoria di un altro gruppo per indicarne i punti fragili nello sminuirne gli effetti concreti e nell’ipotizzarne il fine sociale.

Desiderare uguali diritti vuol dire commerciare una realtà intima? Pubblicizzarla ed attribuirgli un marchio politico o la firma di uno stilista?
No, certo è che il rischio nell’intermezzo tra il “sacro” motivo delle lotte e l’“altare” della realizzazione, c’è. Sempre con il sistema abbiamo a che fare e nel sistema dobbiamo saper muoverci restando umani e tenendo il cuore ben saldo dentro di noi, quello non è questione pubblica.
Vorrei ricordare che in Italia il divorzio è arrivato prima, nell’arco temporale, dell’abolizione del delitto d’onore; il cambiamento culturale, che non è rinnegazione o negazione delle identità ma è inclusione di tutte le diversità alle medesime possibilità, è un processo più umano ed evolutivo che legale.
Ma le leggi servono proprio a questo a creare quella forzatura percepita dai “poveri di spirito” e di attenzione come violenza interna; servono per rendere la società un dato di fatto e non un freddo stereotipo di convenienza.

Se noi vivessimo, adesso, in un mondo laico avremmo bisogno ancora del Pride?
Forse sì, ma con una valenza diversa rispetto ad ora; esternerebbe l’esistenza di una cultura, una condivisione che si esprime in una tradizionale manifestazione e non più un momento politico di lotta e di difficile e dolorosa conquista di diritti, sempre più rari e lontani dall’interesse istituzionale.

Il Pride oggi serve per riunire tutte le persone anche quelle che per paura, quotidianamente, non escono allo scoperto, serve per incoraggiarle ad esserci ed a scegliere ogni giorno la loro felicità; serve il Pride per sensibilizzare gli omofobi a riflettere sul loro problema di odio sociale, di odio verso il diverso, solitamente, contro tutti coloro che vivendo in maniera diversa minerebbero la loro realtà quotidiana.

Le femministe estremiste che non vogliono la maternità surrogata non sono omofobe ma seguono gli stessi passi dell’omofobia.
Sembra un paradosso ma provo a spiegarmi; esiste il mito dell’omofobo come omosessuale rinnegato e spesso questo mito corrisponde a verità; lo stesso potremmo dirlo delle femministe estremiste quelle che concepiscono la procreazione solo tra uomo e donna e che seppur lesbiche si impongono, in tutta legittimità, di procreare solo avendo rapporti sessuali con il maschio e quindi di adempire socialmente a quell’unione economico-sociale utile al mantenimento del sistema.
Allo stesso modo esistono femministe estremiste lesbiche che non si uniscono a uomini per procreare e che praticano all’interno di questi gruppi dinamiche sociali tali e quali  a quelle adottate contro di loro dal sistema che le ha oppresse in principio nella loro espressione; una sorta di riscatto anarchico che non vuole leggi esterne a rendere visibile e quindi a responsabilizzare la loro realtà ma pretende di venire comunque a patti con il sistema, in una sorta di terrorismo ideologico del gender o del bimbo venduto al mercatino.

Il punto è comprendere perché queste persone, nonostante siano legittime le loro scelte di amare donne e di soddisfare comunque il sistema sociale tradizionale nella procreazione, debbano con tante teorie filosofiche (pubblicate come spamming-mondano da giornaliste double face) accusare le altre donne che o lesbiche o bisessuali o eterosessuali vogliano donare il proprio utero per generare una vita ad un’altra famiglia.
Probabilmente coloro che attaccano le donne, lo fanno non tanto perché credono nella difesa del corpo femminile e dell’utero- visto che nessuno imporrebbe a loro di partorire un figlio per qualcun’altra- ma lo fanno perché probabilmente non avendo potuto o voluto lottare in passato per questa uguaglianza (o per comodità o per emotività- e questo comunque esige il rispetto di tutti), il vedere che oggi le donne possono fare del proprio corpo ciò che vogliono, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, suscita in loro una sorta di insoddisfazione e di fallimento verso il proprio benessere.
Ecco, mi permetto di dire che forse in queste donne c’è un po’ di omofobia interiorizzata che è una bestia creata proprio da quel sistema ove si sono nascoste e dove pretendono che tutte le altre donne si nascondano per eccellere nel sistema e riservare il loro vero piacere al solo “vizietto borghese”, perché si sa, se resti un’operaia o una cameriera come puoi permetterti i vizietti?

Mi dispiace, ma credo che il problema sia proprio questo.
La laicità culturale si realizza nel non decidere per il proprio bambino intersessuale (bambino che presenta entrambi gli apparati sessuali femminile e maschile) se debba essere maschio o femmina o, intenzionalmente parlando, se debba diventare o uomo o donna in base, appunto, al sesso che prevarrà nella scelta ipocrita e incostituzionale di due genitori.
La laicità è la non violenza e la condanna delle mutilazioni genitali nei bambini intersex, è la condanna della violenza psicologica esercitata nel presente e nel futuro dei bambini umiliati e nel presente degli adulti sfregiati.

Se fossimo davvero laici non ci preoccuperemo di battezzare i nostri figli e magari imporre loro la non vaccinazione solo per convincimenti puramente personali che con la salute del bimbo e della sua “non corrotta” natura non hanno niente a che vedere.
Noi non siamo padroni dei nostri figli, siamo genitori, coloro che li accolgono nella società famigliare e che li renderanno autosufficienti e liberi nella società dell’esistenza.
Se fossimo laici non ci preoccuperemo del mostro del gender nelle scuole ma saremo attenti a donare ai nostri figli la conoscenza più reale possibile, la conoscenza del mondo per renderli davvero liberi di decidere, una volta adulti, se scegliere le nostre stesse credenze o meno.

Quindi la laicità è complessa proprio perché investe ogni lato della nostra vita, della nostra emotività e quindi è una costante prova di franchezza con noi stessi e col mondo.
Durante questo Pride, personalmente, porto un messaggio e molti si chiederanno a cosa serva rendere pubblica questa mia dichiarazione.
E’ una dichiarazione molto intima ma ricordiamoci che il personale è pubblico e privato e che questo non presuppone la mancanza di riservatezza.
Ho per la prima volta espresso in un cartello la mia realtà; si sono lesbica e sono dichiarata pubblicamente da due anni, ma ho voluto mettere un’ulteriore dichiarazione;
“L’amore è TransGenerazionale nell’accezione anche dell’InterGenerazionalità.
 Le donne over 60 sono l’apoteosi. L’amore è libero solo chi lo teme si scandalizza”.
La laicità è anche questo, comprendere che esistono tante dignità, tante bellezze; è considerare la persona piena di tutte le sue volontà e di tutte le sue passioni in ogni età; la laicità è non condannare chi ama donne molto più grandi di lei o di lui o viceversa; la laicità è ascoltare e non per forza condividere ma è rispettare quella felicità perché il rispetto di quella felicità è la garanzia della tua personale felicità.
Sì, le donne over 60 sono l’apoteosi appunto, la bellezza suprema per me in questo caso e in generale non solo per me.
La fecondità di un amore (non di un fertility day) dovrebbe essere la prima salvaguardia, il primo patrimonio a cui dovremmo tutti tenere per garantire la pace, la bellezza, l’armonia, la realtà, la verità laica del piacere, dei sensi e del cuore e dell’anima atea o diversamente credente.
L’amore è libero solo chi lo teme si scandalizza; l’amore non sarà più considerato uno scandalo quando nessuna discriminazione sarà più accettata o giustificata sulla base di un’unica cultura maggioritaria che decreta cosa è uno scandalo e cosa non lo è.
L’amore discriminato, in uno stato laico sarebbe “lo scandalo”.

Vorrei in fine che le Istituzioni italiane si espongano sulla questione della Cecenia, sull’omocausto che sta colpendo la comunità LGBT; Yuri Guaiana attivista per Certi Diritti già segretario, ha cercato di avere risposte nel tentare di consegnare le firme a Mosca il 12 maggio scorso ma, come sappiamo è stato prima arrestato, assieme ad altri attivisti russi e poi rimpatriato.
Vorrei porre l’attenzione sulla coraggiosa e democratica mozione presentata dalla consigliera Casciari e dai consiglieri Chiacchieroni e Leonelli della Regione Umbria nella quale si chiede espressamente che la Giunta regionale umbra eserciti pressioni sul governo centrale affinché le vittime delle torture e delle violenze in Cecenia, siano accolte e sia loro concesso asilo politico.
Adesso che questa orrenda tragedia si sta compiendo, cerchiamo di non fare come i fascisti ed i nazisti che negarono i campi di concentramento o come i comunisti che si estraniarono dalle atrocità delle foibe.
Il corpo è politica ed anche le imposizioni che vengono esercitate su di esso sono politica, quindi nella padronanza individuale del proprio corpo, facciamoci sentire fuori, specialmente durante il Pride, in una risonanza quasi mondiale dell’orgoglio omosessuale, bisessuale, transessuale intersessuale e asessuale; usciamo a tette nude, a sederi nudi, usciamo fuori come liberi siamo dentro!

Propongo per il prossimo anno di portare il corteo del Pride ancora più dentro la città di Perugia, partendo da Piazza 4 Novembre sino ai Giardini del frontone, per immergere, appunto, l’élite dentro la realtà, magari rileggendo e traducendo i testi in un modo meno schematico e meno cultural popolare; l’uomo vitruviano di Leonardo in realtà è una donna secondo molte interpretazioni e la stessa Mona Lisa in fondo in fondo tanto donna non era.

Buon Pride a tutti e ricordiamoci che la differenza la fa anche un silenzio, l’importante è che non sia un silenzio di dolore ma un silenzio di riservatezza ed allo stesso tempo sia eco di un orgoglio e di una realizzazione cosciente e piena di vita.



Federica Frasconi - radicaliperugia.org

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