L’amore è libero solo chi lo teme
si scandalizza.
La laicità al centro della quinta
edizione del Perugia Pride Village.
Il
tema della quinta edizione del Pride Village Perugia è “laicità”.
Anche
quest’anno Radicali Perugia aderisce assieme a Certi Diritti Associazione
Radicale al Pride Village Perugia.
Dopo
l’approvazione della legge regionale umbra contro l’omotransfobia, lo scorso 4
aprile, quest’anno il Pride a Perugia ha un colore in più; quello della
speranza che anche l’Italia sfoggi presto il suo abito migliore, un abito laico
che tuteli le persone dalle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e
sull’identità di genere.
La
laicità cos’è? Come possiamo esprimere il concetto di laicità?
La
laicità è il rispetto di tutte le realtà della persona; ogni sfera della
persona a partire dalla principale ed onnicomprensiva della sessualità, deve essere
rispettata attraverso una tutela culturale e giuridica.
Essere
laici vuol dire mettersi sempre in discussione difronte alle diversità altrui;
mettersi in discussione nelle modalità di accettazione e di rispetto che
adottiamo; essere laici vuol dire essere persone con una dignità che ha la sua realizzazione
nel riconoscimento delle tante altre dignità, seppur discordanti con la propria
idea di dignità.
Essere
laici è giudicare sé stessi in rapporto al proprio comportamento nei confronti
del diverso, essere fermi nelle proprie idee senza che queste ostruiscano la
sfera umana dell’affettività, della socialità, della legalità e della civiltà.
Per
questo quando sento parlare alcuni “gruppi” di femministe che si accaniscono contro la maternità surrogata (GPA-
puntualmente definita utero in affitto) mi si propone davanti uno scenario che
ha in sé una carica conservatrice spaventosa di certi ideali culturali e tradizionali
che, appellandosi alla naturale funzione dell’utero femminile, issa la bandiera
dell’inviolabilità della cultura-sistemica basata sulla dicotomia
sottomissione-profitto; esse stesse nell’imporre a tutte le altre donne, ovvero
a tutte le altre persone, di non poter donare il proprio utero per generare una
vita per due omosessuali o per due eterosessuali (o quando la giurisdizione lo
concepirà, ad un padre o ad una madre single o ad un matrimonio “a tre”)
sanciscono la loro realtà, il loro triste motivo esistenziale per cui la
sicurezza delle proprie idee e scelte di vita dipendono indissolubilmente
dall’obbligo di rispetto, di queste, da parte delle altre persone; questo
meccanismo lega questi gruppi al sistema in un rapporto di equilibri
socio-inclusivi; l’ex deviato che incluso nella società dovrà realizzarsi
attraverso appositi schemi pre-confezionati, rispetto a quelli che reggono l’élite
della maggioranza “puritana” ovvero di coloro che al posto di un gemito durante
il medesimo atto sessuale, sfoderano un do di petto.
Il
concetto che sta alla base di tutto è quello del capitalismo e del mercato; per
le femministe la GPA porterebbe ad un mercato del corpo della donna e non
rispetterebbe la sua natura in quanto la donna, pur scegliendo di donare il
proprio utero, nella sua scelta stagnerebbero condizionamenti globalizzanti e
estranianti che la condurrebbero ad una sorta di incapacità di intendere e di
volere essendo, a loro avviso, non cosciente della sacralità dell’utero che
porta dentro sé.
Una sorta di peccato originale
incarnato nell’utero e non più nell’anima, porta questi
gruppi conservatori ad appellarsi proprio a quel sistema che un tempo le voleva
quasi inesistenti, silenziose, impercettibili nel progresso sociale.
Questa
“spirale del silenzio” che vagheggia nei meandri bollenti delle femministe “alla
beautiful” mi ricorda tanto i moralisti che rivendicano il “No” al matrimonio
egualitario; proprio perché in questo vedono solo capitalismo e distruzione di
quella sfera intima e segreta, tanto comoda ai molti del “vizietto borgese” e
tanto scomoda ad altri, meno fortunati, che si vedono vietare un’esistenza
libera e appagante essendo di estrazione sociale inferiore.
La questione del matrimonio egualitario
è importante e spesso viene usata come arma a doppio taglio.
Le unioni civili ci hanno permesso di avere due modelli di unione; uno laico
aperto agli omosessuali ed uno religioso; i diritti riconosciuti nelle unioni
civili sono quasi identici a quelli del matrimonio seppur la parte fondamentale
per una piena uguaglianza, ovvero con le adozioni (attraverso una riforma del
diritto di famiglia che non si limiti all’adozione del figliastro), dobbiamo
ancora raggiungerla; non bastano le sentenze della giurisdizione.
Molti
si chiedono perché pretendiamo il matrimonio egualitario quando abbiamo le unioni
civili che garantiscono i medesimi diritti di convivenza?
Allora,
il punto è che in una società laica non può esistere un istituto superiore “matrimoniale”
rispetto ad un altro; dovrebbe esistere un unico istituto “matrimoniale” laico aperto
ad omosessuali ed eterosessuali.
Questa
è la laicità, mettere la primo posto le dignità delle persone e non i credo
religiosi, mettere al centro la persona in quel sano individualismo che non fa soccombere
le minoranze ma, anzi, ne esalta le diversità, includendole ad essere parte
unica ed irripetibile di un ciclo economico-sociale e soprattutto di valori
umani tale da creare la diversità culturale del singolo; creare la bio-diversità
del concepimento, creare nuove speranze e possedere così una sana alternativa alla tirannia della maggioranza; la maggioranza
formata dai concetti di pochi appartenenti alle élite non solo del governo ma
anche alle élite istituzionali che spesso operano un lavaggio del cervello e
della coscienza, attraverso l’uso moralmente incosciente di quei mezzi sacri,
come libri, filosofie e poesie per portare la rinnegazione dentro l’essere umano
come dote e virtù di chi, possedendo questa forza risolutiva e reprimente
(concernete la pena della “via crucis”) riesca ad avere in mano il potere presente
per estenderlo nel futuro della sua e delle altrui generazioni.
Purtroppo la laicità è sempre reinterpretata
e mai applicata; è un comodo eufemismo soprattutto al ridosso delle campagne
elettorali dove ognuno impugna una presunta vittoria di un
altro gruppo per indicarne i punti fragili nello sminuirne gli effetti concreti
e nell’ipotizzarne il fine sociale.
Desiderare uguali diritti vuol dire
commerciare una realtà intima? Pubblicizzarla ed attribuirgli un marchio
politico o la firma di uno stilista?
No,
certo è che il rischio nell’intermezzo tra il “sacro” motivo delle lotte e
l’“altare” della realizzazione, c’è. Sempre con il sistema abbiamo a che fare e
nel sistema dobbiamo saper muoverci
restando umani e tenendo il cuore ben saldo dentro di noi, quello non è questione
pubblica.
Vorrei
ricordare che in Italia il divorzio è arrivato prima, nell’arco temporale,
dell’abolizione del delitto d’onore; il
cambiamento culturale, che non è rinnegazione o negazione delle identità ma
è inclusione di tutte le diversità alle medesime possibilità, è un processo più umano ed evolutivo che
legale.
Ma le leggi servono proprio a
questo a creare quella forzatura percepita dai “poveri di spirito” e di
attenzione come violenza interna; servono per rendere la società un dato di
fatto e non un freddo stereotipo di convenienza.
Se noi vivessimo, adesso, in un mondo
laico avremmo bisogno ancora del Pride?
Forse sì, ma con una valenza
diversa rispetto ad ora; esternerebbe l’esistenza di una
cultura, una condivisione che si esprime in una tradizionale manifestazione e
non più un momento politico di lotta e di difficile e dolorosa conquista di
diritti, sempre più rari e lontani dall’interesse istituzionale.
Il Pride oggi serve per riunire
tutte le persone anche quelle che per paura, quotidianamente, non escono allo
scoperto, serve per incoraggiarle ad esserci ed a scegliere ogni giorno la loro
felicità; serve il Pride per sensibilizzare gli omofobi a riflettere sul loro
problema di odio sociale, di odio verso il diverso, solitamente, contro tutti
coloro che vivendo in maniera diversa minerebbero la loro realtà quotidiana.
Le femministe estremiste che non vogliono
la maternità surrogata non sono omofobe ma seguono gli stessi passi
dell’omofobia.
Sembra
un paradosso ma provo a spiegarmi; esiste il mito dell’omofobo come omosessuale
rinnegato e spesso questo mito corrisponde a verità; lo stesso potremmo dirlo
delle femministe estremiste quelle che concepiscono la procreazione solo tra
uomo e donna e che seppur lesbiche si impongono, in tutta legittimità, di procreare
solo avendo rapporti sessuali con il maschio e quindi di adempire socialmente a
quell’unione economico-sociale utile al mantenimento del sistema.
Allo
stesso modo esistono femministe estremiste lesbiche che non si uniscono a
uomini per procreare e che praticano all’interno di questi gruppi dinamiche
sociali tali e quali a quelle adottate
contro di loro dal sistema che le ha oppresse in principio nella loro espressione; una sorta di riscatto anarchico che non
vuole leggi esterne a rendere visibile e quindi a responsabilizzare la loro
realtà ma pretende di venire comunque a patti con il sistema, in una sorta di
terrorismo ideologico del gender o del bimbo venduto al mercatino.
Il
punto è comprendere perché queste persone, nonostante siano legittime le loro
scelte di amare donne e di soddisfare comunque il sistema sociale tradizionale
nella procreazione, debbano con tante teorie filosofiche (pubblicate come
spamming-mondano da giornaliste double face) accusare le altre donne che o
lesbiche o bisessuali o eterosessuali vogliano donare il proprio utero per generare
una vita ad un’altra famiglia.
Probabilmente
coloro che attaccano le donne, lo fanno non tanto perché credono nella difesa
del corpo femminile e dell’utero- visto che nessuno imporrebbe a loro di
partorire un figlio per qualcun’altra- ma lo fanno perché probabilmente non avendo
potuto o voluto lottare in passato per questa uguaglianza (o per comodità o per
emotività- e questo comunque esige il rispetto di tutti), il vedere che oggi le
donne possono fare del proprio corpo ciò che vogliono, indipendentemente dal proprio
orientamento sessuale, suscita in loro una sorta di insoddisfazione e di
fallimento verso il proprio benessere.
Ecco, mi permetto di dire che forse
in queste donne c’è un po’ di omofobia interiorizzata che è una bestia creata proprio
da quel sistema ove si sono nascoste e dove pretendono che tutte le altre donne
si nascondano per eccellere nel sistema e riservare
il loro vero piacere al solo “vizietto borghese”, perché si sa, se resti un’operaia
o una cameriera come puoi permetterti i vizietti?
Mi
dispiace, ma credo che il problema sia proprio questo.
La laicità culturale si realizza
nel non decidere per il proprio bambino intersessuale
(bambino che presenta entrambi gli apparati sessuali femminile e maschile) se debba essere maschio o femmina o,
intenzionalmente parlando, se debba diventare o uomo o donna in base, appunto,
al sesso che prevarrà nella scelta ipocrita e incostituzionale di due genitori.
La
laicità è la non violenza e la condanna delle mutilazioni genitali nei bambini
intersex, è la condanna della violenza psicologica esercitata nel presente e nel
futuro dei bambini umiliati e nel presente degli adulti sfregiati.
Se fossimo davvero laici non ci
preoccuperemo di battezzare i nostri figli e magari imporre loro la non vaccinazione
solo
per convincimenti puramente personali che con la salute del bimbo e della sua
“non corrotta” natura non hanno niente a che vedere.
Noi
non siamo padroni dei nostri figli, siamo genitori, coloro che li accolgono
nella società famigliare e che li renderanno autosufficienti e liberi nella società
dell’esistenza.
Se fossimo laici non ci preoccuperemo
del mostro del gender nelle scuole ma saremo attenti a donare ai nostri figli
la conoscenza più reale possibile, la conoscenza del
mondo per renderli davvero liberi di decidere, una volta adulti, se scegliere
le nostre stesse credenze o meno.
Quindi la laicità è complessa proprio
perché investe ogni lato della nostra vita, della nostra emotività e quindi è una
costante prova di franchezza con noi stessi e col mondo.
Durante
questo Pride, personalmente, porto un messaggio e molti si chiederanno a cosa serva
rendere pubblica questa mia dichiarazione.
E’
una dichiarazione molto intima ma ricordiamoci che il personale è pubblico e privato e che questo non presuppone la
mancanza di riservatezza.
Ho
per la prima volta espresso in un cartello la mia realtà; si sono lesbica e
sono dichiarata pubblicamente da due anni, ma ho voluto mettere un’ulteriore
dichiarazione;
“L’amore è TransGenerazionale
nell’accezione anche dell’InterGenerazionalità.
Le donne over 60 sono l’apoteosi. L’amore è
libero solo chi lo teme si scandalizza”.
La
laicità è anche questo, comprendere che esistono tante dignità, tante bellezze;
è considerare la persona piena di tutte le sue volontà e di tutte le sue
passioni in ogni età; la laicità è non condannare chi ama donne molto più
grandi di lei o di lui o viceversa; la laicità è ascoltare e non per forza
condividere ma è rispettare quella felicità perché il rispetto di quella felicità è la garanzia della tua personale
felicità.
Sì, le donne over 60 sono l’apoteosi
appunto, la bellezza suprema per me in questo caso
e in generale non solo per me.
La
fecondità di un amore (non di un fertility day) dovrebbe essere la prima
salvaguardia, il primo patrimonio a cui dovremmo tutti tenere per garantire la
pace, la bellezza, l’armonia, la realtà, la verità laica del piacere, dei sensi
e del cuore e dell’anima atea o diversamente credente.
L’amore
è libero solo chi lo teme si scandalizza; l’amore
non sarà più considerato uno scandalo quando nessuna discriminazione sarà più accettata
o giustificata sulla base di un’unica cultura maggioritaria che decreta cosa è
uno scandalo e cosa non lo è.
L’amore discriminato, in uno stato
laico sarebbe “lo scandalo”.
Vorrei
in fine che le Istituzioni italiane si espongano
sulla questione della Cecenia, sull’omocausto che sta colpendo la comunità LGBT;
Yuri Guaiana attivista per Certi Diritti già segretario, ha cercato di avere
risposte nel tentare di consegnare le firme a Mosca il 12 maggio scorso ma,
come sappiamo è stato prima arrestato, assieme ad altri attivisti russi e poi
rimpatriato.
Vorrei
porre l’attenzione sulla coraggiosa e democratica mozione presentata dalla consigliera Casciari e dai consiglieri
Chiacchieroni e Leonelli della Regione
Umbria nella quale si chiede espressamente che la Giunta regionale umbra
eserciti pressioni sul governo centrale affinché le vittime delle torture e delle violenze in Cecenia, siano accolte e
sia loro concesso asilo politico.
Adesso
che questa orrenda tragedia si sta compiendo, cerchiamo di non fare come i
fascisti ed i nazisti che negarono i campi di concentramento o come i comunisti
che si estraniarono dalle atrocità delle foibe.
Il
corpo è politica ed anche le imposizioni che vengono esercitate su di esso sono
politica, quindi nella padronanza individuale del proprio corpo, facciamoci
sentire fuori, specialmente durante il Pride, in una risonanza quasi mondiale
dell’orgoglio omosessuale, bisessuale, transessuale intersessuale e asessuale;
usciamo a tette nude, a sederi nudi, usciamo fuori come liberi siamo dentro!
Propongo per il prossimo anno di
portare il corteo del Pride ancora più dentro la città di Perugia, partendo da Piazza
4 Novembre sino ai Giardini del frontone, per immergere, appunto,
l’élite dentro la realtà, magari rileggendo e traducendo i testi in un modo meno
schematico e meno cultural popolare; l’uomo vitruviano di Leonardo in realtà è una
donna secondo molte interpretazioni e la stessa Mona Lisa in fondo in fondo
tanto donna non era.
Buon Pride a tutti e ricordiamoci
che la differenza la fa anche un silenzio, l’importante è
che non sia un silenzio di dolore ma un silenzio
di riservatezza ed allo stesso tempo sia eco di un orgoglio e di una
realizzazione cosciente e piena di vita.
Federica Frasconi - radicaliperugia.org
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