I giornalisti
omosessuali; da appartenenza comunitaria a libertà d’opinione a dovere
d’informazione.
Il giornalismo e la
fluidità della realtà espressiva; quanto è reale la fedeltà ai fatti.
Alla diciassettesima edizione
del festival del giornalismo a Perugia, durante il panel discussion dell’8
aprile 2017, inerente “persone LGBT e
media nell’era dei diritti” che ha visto partecipi i relatori Frederic
Martel, sociologo e giornalista, Pasquale Quaranta giornalista ed attivista e
Delia Vaccarello giornalista dell’Unità ed attivista omosex, c’è stato un
confronto sul ruolo d’informazione del giornalista omosessuale appartenente alla
comunità lgbtqia.
Il giornalista, per meglio
dire, un buon giornalista deve rendere alla conoscenza del lettore solamente i
fatti, evitando di esprimere opinioni esplicite che possano viziare troppo
l’articolo.
Infondo anche il Mahatma
Gandhi riteneva che è “un dovere dei giornalisti non porgere altro che i fatti
ai loro lettori”
Il punto è che nessun giornalista,
in quanto persona, è esente dalle sue opinioni e se per dovere deve esserlo,
cronisticamente di certo non lo è mai, nei fatti; e non per negligenza sua.
Ascoltando il
dibattito, durante un intervento della giornalista Delia Vaccarello, ho sentito
alcune osservazioni stonare con la realtà dei fatti.
Con “realtà dei fatti”,
intendo la realtà generale in cui un giornalista lavora e si confronta col
mondo dell’editoria e della carta stampata o virtuale che sia.
Non riesco a capire
come si possa sostenere che -giornalista- è solo colei o colui che riporta solo
i fatti estraniandosi dall’opinione personale ed al contempo sostenere che un o
una giornalista possa avere un blog ma che non possa essere ritenuto
giornalista solo perché scrive su un blog personale o solo perché ne gestisce
uno pubblico.
Quindi il giornalismo
di opinione non esiste?
Quanti giornalisti sono
stati scoperti grazie al proprio blog o ad un blog pubblico; una vetrina di
conoscenza reciproca e multifunzionale.
La rete e la divulgazione
pubblica delle notizie, quelle verificate e quelle meno verificate, quelle
presupposte e quelle taciute.
Lo so, sto cadendo nel banale
(altro errore parlare in prima persona) ma qui non si sta scrivendo un articolo,
si sta solamente esprimendo un’opinione basata su fatti e regolata dalla sola
mente della sottoscritta.
La piramide del
giornalista è rovesciata …e quella del giornalismo?
Si arriva al paradosso
di accettare che;
l’opinione
(del capo redattore) su un’opinione (quella del giornalista) non è opinione
(notizia).
Eppure un’opinione
espressa esiste sempre in un articolo e non si serve di “io credo” o di “io
reputo che” ma di congiunture lessicali e semantiche capaci di dare al lettore
una sensazione particolare su un tema trattato che, seppure risulta essere lo
stesso, se trattato da un altro giornale, quest’ultimo, potrebbe apparire sotto
un'altra luce agli occhi del lettore.
E’ una questione di parola
e non tanto di parola come giuramento, quanto di gioco di parole. Perché vedete
per riportare i fatti, con il luogo e la data, basterebbero pochi giornalisti,
basterebbe l’Ansa di per sé come fonte informativa…eppure c’è concorrenza nell’esporre
una medesima notizia.
Quando Natalia Aspesi
dice che, tanti anni fa, il giornalismo era più soddisfacente e più piacevole,
intende, a mio avviso, dire che la notizia, al giorno d’oggi, non è restata l’obbiettivo
da raggiungere e da riproporre nel modo migliore, sia stilisticamente che contenutisticamente
al lettore, ma che questa sia divenuta un vero strumento politico, ideologico, sensazionale;
dove sensazionale sta per “strepitante”, “populista”, “becero”, “comodo
sermone”...
Quindi i giornalisti
sono strumento della politica?
Beh, anche affermare
questo non è corretto, perché seppur una larga fetta gode di privilegi politici,
esiste una parte che ancora sussiste indipendente e che appunto non campa di
giornalismo ma di altro, quando riesce a campare d’altro.
Non credo che i giornalisti
non siano necessari, anzi credo che siano necessari alla formazione di una
coscienza plurale pubblica, al confronto stilistico e d’opinione; non siamo più
negli anni sessanta dove il giornalista, essendo una rarità, doveva essere
fedele alla notizia fino in fondo, accettando la “non opinione” filo politica
del proprio caporedattore, credo che oggi il giornalismo, essendo così strutturato
e così diffuso su larga scala, debba godere di una libertà espressiva maggiore
e di una tutela altrettanto netta tra caporedattore e neo scribantino.
Un blogger non è un
giornalista, secondo molti, perché non è iscritto all’albo, nella maggior parte
dei casi; o perché non ha affiliazioni politiche di supporto?
Credo proprio che sia questa
la motivazione di tanto auto conservatorismo, la non appartenenza politica di
questi ultimi…. e se permettete è alquanto deplorevole.
Chi gestisce un blog e chi
ne cura le parti redazionali è un giornalista, perché seleziona le notizie ne
cura la diffusione e ne vigila l’usufrutto.
In un’era dove la
privacy è ormai una cliché e i diritti d’autore sono arduamente e astutamente
raggirati dalle grandi firme giornalistiche, che spesso si impossessano delle
idee di sconosciuti scribantini (basta guardare il plagio universitario per
rendersi conto della gara podistica a cui ci adattano sin dall’inizio) credo
che il giornalismo possa e debba permettersi minor ipocrisia direzionale; credo
che debba arrendersi alla sua morte storica per aprirsi alla multimedialità ed
alla democrazia espressiva.
La signora Vaccarello
ha detto che “il giornalismo è la sentinella della democrazia”.
Beh appunto, dovrebbe
essere così e per essere così dovremmo trovarci a parlare di una società
asettica da influenze politiche; sarebbe più onesto dire che il giornalismo dovrebbe
essere fedele alla realtà dei fatti e per esserlo deve, per dovere d’incarico,
rispettare la corrente politica di appartenenza e restare responsabile delle informazioni
trattate.
Si
eviterebbe di decretare quale politica è democrazia e quale politica non è
democrazia, visto che tutta la politica vive nella democrazia.
Ma capisco che a forza
di fare queste assoluzioni mentali, finisco per passare da banale quando banale
è il pensiero di chi vuole ancora abbindolare noi giovani (od oramai non più
giovani per il mercato) scribantini; che sogniamo un giorno di poter scrivere
articoli in tante testate, tanto per sentirci utili nella nostra scrittura,
senza rispondere sì o no al sì o no di qualcun altro.
Il giornalismo è una
missione e credo che possa godere di più libertà tra capo-deliberatore e
giornalista-attuatore; il fine è dare informazione alle persone e per quel fine
si sacrifica tutto, ma non sono convinta che ogni mezzo sia per questo
accettabile. La notizia finale non
resta, comunque, vergine ai fatti.
Natalia Aspesi in
un’intervista, ad Uninettuno, affermò: “Il giornalismo non è libero, il giornalista
non è libero, deve sempre rendere conto al suo direttore” il che di per sé non
è riprovevole ma ammetterlo è un’enorme gesto di chiarezza.
Tutti
lo sanno ma nessuno lo dice.
Se permettete mi fido molto
di più degli articoli scritti da una Natalia Aspesi, riguardo la correttezza
emotiva espressa, rispetto a quelli scritti da qualcun altr*; qualcun altr* che,
magari, ha fatto più strada rispetto a quest’ultima solo perché si è ben
giocat* i favori editoriali.
Natalia Aspesi è stata
una donna libera ed ha pagato la sua libertà, seppur il suo talento indiscusso
e la sua personalità l’hanno sempre fatta brillare, nonostante le tante
malelingue del “circoletto”.
Il giornalista lgbtqia
per esempio, nell’essere un giornalista gay o lesbica o trans o bisex o asex o
intersex, deve comunque mantenere fede al suo ruolo; informare ed anche saper criticare,
se lo ritiene opportuno, la sua comunità di appartenenza, nella quale condivide
la sua emotiva relazionale ed esistenziale.
Saper trattare le
notizie con la giusta lucidità, esponendo comunque quell’inevitabile opinione e
pensiero che anima ogni cervello ed ogni cuore che scrive; altrimenti ci sono
le macchine, o ripeto, basterebbe una sola agenzia d’informazione, decretata da
qualche capo politico come unica fonte affidabile, per fare notizia, visto che l’informazione a differenza della notizia è
inevitabilmente soggetta ad opinione…
Questo però non deve
far cadere l’opinione e la percezione in una cliché tipica; ovvero sostenere
che i giornalisti omosessuali sono più sensibili, nello scrivere, rispetto ai
giornalisti eterosessuali.
Vorrebbe dire che gli eterosessuali
in quanto tali, seppur non eterosessisti né eteronormativi, si ritrovano più facilmente
immersi in quel sistema eteronormativo in maniera sia passiva che attiva, riguardo
le opportunità di lavoro e di espressione che vengono loro riconosciute ed al
tempo stesso, sostenere quest’ipotesi, vorrebbe dire che l’omosessuale, siccome
mette in crisi il concetto eteronormativo e stravolge il sistema socio-compensativo
ed identitario dell’eterosessismo, è più sensibile a trattare le svariate
realtà di cronaca.
Questo ragionamento può
avere un senso e ce l’ha ma è solo temporale nell’arco della storia; oggi, il
giornalista omosessuale in quanto persona omosessuale è più sensibile a trattar
i casi di cronaca, di qualunque natura essi siano, perché ha l’occhio “clinico”
ed emotivo di chi ha subito ingiustizie ed ha superato lunghe lotte di conoscenza
verso sé stesso e verso il mondo, bagaglio personale e culturale prezioso e di grande valore umano
e pratico, senza dubbio, ma questo vale solo per gli omosessuali di adesso e
non vale eternamente per la realtà omosessuale.
Non credo che un omosessuale
giornalista che tra quarant’anni inizierà a scrivere, sarà così dissonante
emotivamente del collega giornalista eterosessuale; la sessualità sta perdendo il finto per aprirsi alla conoscenza della
sua fluidità che non è eterosessuale o omosessuale o bisessuale ma è onnicomprensiva
dell’essere umano e di ciò che ama.
Ripeto, la liberazione
dei corpi e la liberazione sessuale portano l’esser umano ad essere di nuovo
vergine con sé stesso a conoscere davvero ciò che sente, ciò che vede ed a
sentirsi maggiormente partecipe del tutto.
Quindi se è vero, come
è vero, che in questo periodo storico gli omossessuali giornalisti sono più
sensibili nel trattare le notizie, è anche vero che questa sensibilità di per
sé è un’opinione, un’opinione elettiva, utile ai fini della notizia ed ai fini
stilistici.
Perché la notizia non
resti anonima (per anonimato intendo l’anonimia di carattere e di vissuto) perché
la notizia sia distinguibile dal cuore messo, dall’intelletto usato e non dalle
fazioni ideologico-politiche che finiscono per rendere un giornalista uguale ad
un altro.
Non è come parlare del
nero e del bianco, come presunzione di nettezza ed infallibilità o come
superiorità della specie umana; quando l’uomo nero è stato considerato
inferiore perché aveva un colore della pelle diverso dalla razza dominate.
Ogni razza umana ha caratteristiche
fisiche diverse e la diversità è un dono, un dono che attua l’uguaglianza; il
problema è quando prevale una realtà su tutte a decretare chi merita una cosa e
chi non la merita.
Vedete, le
caratteristiche fisiche non decretano che una razza sia solo eterosessuale o
solo omosessuale proprio perché la sessualità permea tutte le realtà dell’esistenza,
anche le caratteristiche somatiche.
Ci sono persone
sessualmente non binarie che vivono in Africa, in Russia, in Germania, In
America, in Nigeria… eppure sono tutte uguali, proprio perché diverse e perché sperimentano
e vivono la loro realtà in storie culturali diverse tra loro.
Ecco la sensibilità; è
un po’ come una caratteristica fisica che non è di per sé compromissoria di un
determinato desiderio di realizzazione o di una determinata libertà di
espressione.
La
sensibilità è parte alla liberazione sessuale perché la sessualità emotiva e
fisica permea la sensibilità di ciascuno di noi, ciascuno di noi che da terra
vergine diviene terra vissuta e che, da terra vissuta, addotta un carattere che
non è riassuntivo della realtà della persona ma che è una
realtà esposta ed esternata, capace di rendere o meno salvaguardia alla realtà
interna dell’essere umano.
Realtà che può essere
tenuta presente o persa (seppur non si perde mai la costanza e la sensibilità
con la parte intima di noi stessi) ed è lì che tutto trova esplicazione ed introspezione.
La
sensibilità è una potenza uguale per tutti; non esistono persone più o meno
sensibili in base all’orientamento sessuale ma esistono sensibilità
diverse, esplicate in modo diverso per vissuto esistenziale ed individuale,
quello che dà stile ad un giornalista e morale ad un comune ed anonimo
cittadino.
La sensibilità è
anonima ed è meglio conosciuta come amore; sentimento sessuale, emozionale e
fisico che come il battito del cuore ci sovrasta senza che noi ce ne
accorgiamo.
Ecco il giornalismo
libero, il giornalismo che Natalia Asepsi ha esercitato; la libertà espressa su
un foglio di carta, raccontando, informando, rispondendo empaticamente, quella
scrittura che resta nel tempo e che non muta nel tempo ma che sorprende nel
cuore a rileggerla.
Memoria digitale e memoria
cartacea; entrambe figlie di un cuore umano che si serve di un cuore d’inchiostro
o di uno meccanico.
I gay non scrivono più,
come prima, a Natalia Aspesi parlandole della loro paura di esistere, ma le
scrivono per confidarle le loro questioni di cuore; tanto che l’omosessuale
diventa persona e custode della sua storia, all’interno delle dinamiche
relazionali sociali.
La stessa giornalista
ha affermato che gli omosessuali sono finalmente liberi; infondo liberi di
sentirsi accadere quello che accade a tutta la società che prima sembrava
essere la “perfezione irraggiungibile” per noi e che oggi è divenuta una pluralità
di realtà che però, purtroppo, ancora confliggono tra loro.
Vorrei ricordare qui le
parole di Natalia Aspesi:
“Il
mio consiglio di giornalista dal 1960…calcolatelo voi…è, non fate i
giornalisti! Per me è stato un mestiere strepitoso ma tanti anni fa, quando ci
pagavano e potevi vivere ed eri anche apprezzata, adesso, non solo i
giornalisti vengono trattati malissimo da tanta gente della politica e della
cronaca…ma vengono pagati pochissimo, quindi se potete… una bella drogheria in
cui vendete delle cose sublimi da tutti i paesi, secondo me è meglio”
L’augurio di divenire
quello che sentiremo ogni giorno di essere;
la
libertà di esprimersi è la vera sentinella della democrazia, quella che renderà
democratica la notizia.
Lo stile espressivo
rispettato ed il rispetto verso la “semplice” realtà dei fatti;
potremo
essere liberi schiavi se lo vorremo ma non dovremmo sentirci mai schiavi
liberi.
La
consapevolezza è la prima salvezza.
Federica Frasconi
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