Il Doping dello sport ed il “non doping” della morale
In questi giorni di Olimpiadi a Rio, abbiamo assistito alla
squalifica di Alex Schwazer per doping: una squalifica di 8 anni che in tempi
reali equivale, nella maggior parte dei casi, alla fine della sua carriera. Il caso
di Schwazer è un caso diverso da molti altri ma in sé ha una denuncia della
realtà molto più spinosa. Ora, con questo non si vuole dire che nello sport
debba esserci il doping per gareggiare tra chi se lo somministra meglio, semmai
si vuole aprire uno squarcio di realtà in quel mondo idealizzato e motore di
ideologie e squadre di tifo tra i presidenti degli stati in gara.
Ogni sport ha in sé livelli di difficoltà elevati e diversi,
essendo gli atleti tutti a livello agonistico: le questioni sono molto delicate;
o si cambiano le regole e la mole di sforzo o si accetta l’evidenza. Non credo
che quelle atlete o quegli atleti siano in se super eroi ma credo invece che
siano giovani talenti indiscutibili che nella loro resistenza seppur elevata
non riescono a sopportare un carico cosi pesante.
Il mondo del ciclismo, a mio avviso, è il più complicato in
quanto gli atleti percorrono chilometri e chilometri in salita sotto ogni
condizione climatica per molti giorni e molte ore di seguito; come si può anche
solo credere che la maggior parte gareggi pulita in simili circostanze?
Un conto è non volere vedere la realtà un conto è vederla e
metterla al silenzio di poteri molto più influenti dei semplici circoli
sportivi. Se il doping è uno specifico trattamento medico per alleviare la
fatica, il così detto “non doping” è allo stesso modo uno strumento medico per
alleviare fatica e dolore.
Le case farmaceutiche
sono un punto focale in questa vicenda e con loro tutto il clima di negazione
ed esaltazione di realtà impossibili da raggiungere in condizioni di normale
attività fisica.
Mi torna in mente il mito di Bartali e Coppi e il famoso
gesto della borraccia.
Al tempo nessuno comprese, o volle comprendere, il
simbolismo nascosto in quel gesto: più che due atleti che si scambiavano la
borraccia c’erano due poteri che si scambiavano favori, quello della democrazia
cristiana e del partito comunista. Oggi chi ci assicura che in quella borraccia
come in tante altre borracce, nella storia sportiva, non ci sia stata, oltre il
controllo del potere, qualche sostanza di aiuto?
Alex Schwazer mi fa
pesare a Marco Pantani ed a quanto lui stesso fosse stato distrutto dal potere,
sia dal potere dello spettacolo che da quello della politica del tempo. Due
atleti che hanno scontato sulle loro spalle le presunte colpe di altri
intoccabili (seppur atleti): altri che continuano a non essere in regola con la
morale sportiva e che gareggiano lo stesso, magari con un trattamento diverso
rispetto a quello del riconosciuto e combattuto doping.
Un aiuto farmaceutico deve essere garantito a certi livelli
per tutti gli atleti o altrimenti prendete in considerazione la realtà e non i
miti; molti atleti muoiono giovani proprio perché esagerano nel raggiungimento
di quell’ideale eroico e imponente che tanto mettete in scena e si sono
massacrati magari dosando da soli quantità aberranti di medicinali ammessi e
taciuti alle gare.
Lo sport è una gara prima di tutto con se stessi: rendetela
tale e non un calvario di onori.
Vorrei parlare anche di Simone Biles atleta di talento
indiscussa. Il suo corpo marmoreo, la sua capacità di spettacolo ha in sé un
veicolo fondamentale quale è il talento. Un corpo femminile o per meglio dire…
una donna è donna anche se ama avere e curare un corpo scultoreo anzi, nella
sua arte, l’atleta ha in se una dolcezza decisa felice e libera come anche le
altre atlete hanno a modo loro. Paragonare il suo fisco a quello delle cinesi o
coreane leggiadro dolce e bello, od a quello delle russe o alle altre stesse
atlete statunitensi mi sembra un modo poco serio di intendere la gara sportiva
e tantomeno l’analisi della competizione. Sicuramente tra loro le atlete hanno
un fisico diverso e non è un caso che in sport come la vela, atlete più leggere
riescano ad arrivare nei primi posti: questo non è detto perché il punto focale
è il talento prima della struttura fisica. Se le atlete cinesi o russe avessero
avuto lo stesso talento di Simone Biles sarebbero arrivate prime. Un corpo di
donna atletico ed in certi tratti rasente alla potenza del fisico maschile, non
ha niente di così dispregiativo, anzi è un fisico che parla di uno spirito
libero che probabilmente ama quel suo essere atleta cosi come si mostra; non
definirei Simone Biles un baraccone, anzi definirei Simone Biles come una donna
che nel suo modo ha dato libertà sessuale all’espressione artistica ed inoltre
i baracconi come il circo non sono mondi degradati…
Se iniziassimo tutti a rispettare l’arte in base al fatto
che è arte e non al luogo di reggenza che la ospita, forze tanti capogiri non
ci sarebbero; ma così non è per questo siamo esistiti anche noi omosessuali con
il nome di capovolti un tempo, ed oggi ancora,
a fatica, ognuno di noi, atleta quotidiano, cerca con la dolcezza e la
giusta dose di amarezza di continuare la battaglia per la piena uguaglianza e
per la cultura del vero e del reale che in se hanno anche l’arte: l’arte che
non è maschera del potere o dei miti che il potere vorrebbe imporre.
L’uguaglianza parte anche da qui e non è un caso che atlete
come Simone Biles siano attaccate solo perché talentuose ed anche di buona presenza
scenica; i binomi, bellezza e intelligenza, omosessualità e purezza non sono
poi così impossibili e se non vogliamo vederli ne accettarli, dovremmo chiederci
il perché:
da cosa fuggiamo, perché due qualità non possono e non
devono coesistere ancor meno se riconosciute a livello mondiale in un evento
sportivo quale le olimpiadi ove lo sport è lo strumento sociale ed educativo
del rapporto con se ed i propri limiti?
Forse perché lo sport fino ad oggi era, si, rappresentato come
una sfida con se stessi ma non lo è mai stato nella realtà interna e mostrata.
Forse dovremmo non avere paura di vedere la bellezza talentuosa o la donna apparentemente
mascolina essere femminile e talentuosa o forse dovremmo avere paura: forse si
dovremmo avere paura della realtà, se però la paura è un modo per arrivare all’accettazione
della realtà e non sia l’ennesima fucina di stereotipi rinforzati e di reggenza
elogiati.
Federica Frasconi
A tutti gli atleti quotidiani di ogni ambito
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