di Federico Varese, La Stampa, 6 gennaio 2014
Dal primo gennaio è possibile acquistare marijuana nei negozi del Colorado. Ora nulla sarà più come prima. La legalizzazione è destinata a diffondersi in altri Stati americani, e cambierà sia la dinamica del dibattito politico statunitense che la «war on drugs» (la guerra alle droghe, ndr) così come la conosciamo.
Queste trasformazioni avranno effetti sui Paesi produttori e distributori. Anche l’Europa - Italia inclusa - ne sentiranno gli effetti.
L’uso della canapa indiana per ragioni mediche è già legale in una dozzina di stati Usa, come la California, dove vi sono migliaia di produttori. Dopo il Colorado e Washington, gli osservatori prevedono che l’Oregon sarà il prossimo stato a legalizzare il consumo, seguito da Arizona e Michigan. Nel 2013 questo mercato valeva quasi un miliardo e mezzo di dollari. Esiste già una rispettabilissima lobby dei produttori, The National Cannabis Industry Association, con tanto di sito internet e lista di priorità.
Diversi esponenti democratici e repubblicani hanno cominciato ad abbracciare questa causa. Thomas Miller Jr., il presidente del Senato del Maryland e vecchia volpe della politica locale, si è detto favorevole a tassare il prodotto, perché, ha aggiunto, «so in che direzione vanno le nuove generazioni». La stessa posizione è condivisa dalla candidata democratica al posto di governatore, che propone di usare i non insignificanti introiti fiscali per finanziare programmi scolastici. Secondo una stima, il Colorado potrà guadagnare 60 milioni di dollari in tasse. In tempi di crisi economica e di casse statali vuote, è più facile (e redditizio) appoggiare questa politica che non i matrimoni gay, un cambiamento impensabile fino a pochi anni fa.(...)
Come si evolverà la produzione di marijuana negli Stati Uniti? Il modello che sta emergendo prevede l’acquisto di una licenza, dal costo di mille dollari l’anno, che permette di coltivare e vendere il prodotto esclusivamente nello Stato, senza limiti alla grandezza delle tenute. Il mercato è dunque altamente regolato e localizzato. I piccoli produttori di marijuana medica con cui ho avuto modo di parlare in California qualche mese fa sanno che la legalizzazione aumenterà la competizione. In Colorado è previsto un periodo di transizione di nove mesi, durante il quale i coltivatori di cannabis medica avranno il monopolio sulla produzione, poi il sistema verrà aperto a chiunque ha i requisiti per ottenere una licenza. Quando arriveranno produttori di medie dimensioni, questi vorranno sfruttare le economie di scala e quindi modificare la legge che impedisce di vendere fuori dallo stato. Senza dubbio verrà presto emendata anche la legge bancaria federale che impedisce di depositare su un conto corrente i proventi di questo commercio.
Vi saranno presto altri sviluppi. È inevitabile che l’importazione di marijuana dal Messico si ridurrà in maniera significativa e così gli Stati Uniti avranno un mercato illegale in meno. Questo cambiamento avrà un effetto sui cartelli messicani, che perderanno tra il dieci e il trenta percento dei loro introiti. Nondimeno il grosso dei profitti dei cartelli proviene dal traffico della cocaina, dall’immigrazione illegale e dalle estorsioni. I narcos continueranno a prosperare e farsi la guerra, ma dovranno diversificare il loro portfolio.
D’ora in poi sarà molto difficile per il governo americano difendere la «war on drugs» nella sua forma attuale. L’amministrazione Obama è riuscita a far passare una risoluzione della Nazioni Unite contro la legalizzazione della marijuana in Uruguay. Nel passato recente, ha cercato in tutti i modi di bloccare i programmi per rendere legale la produzione nello stato canadese della British Columbia, minacciando ritorsioni di carattere economico. Con quale credibilità potrà mantenere queste posizioni? Il presidente del Messico ha posto la questione a Obama durante un incontro recente. Che senso ha spendere miliardi di dollari e rischiare la vita di migliaia di agenti per combattere il commercio di una merce che è legale al di là del confine? È dunque prevedibile che nel giro di pochi anni il Canada e gran parte dell’America latina adotteranno misure simili a quelle del Colorado. A quel punto sarà più difficile difendere l’attuale modello di produzione locale, e una liberalizzazione di dimensioni continentali sarà all’ordine del giorno, nella spirito degli accordi sul libero commercio dell’America del Nord (Nafta).
In questo scenario non troppo fantascientifico, anche l’Europa sarà costretta ad adeguarsi. Le multinazionali della marijuana prenderanno il posto dei romantici coltivatori di piantine e, come i lobbisti di Big Tobacco, cercheranno di convincere i consumatori che gli effetti sulla salute sono insignificanti. È così che operano le forze dell’economia, dove le campagne per la libertà di consumare presto si intersecano con interessi economici globali. I mercati illegali diventano legittimi, aumenta la base imponibile e il commercio prende il posto della repressione.
Una volta vinta la battaglia per la legalizzazione, è bene non dimenticare che la sovranità del consumatore va comunque limitata da un sano senso di responsabilità individuale e da regole non negoziabili. È in ogni caso deprimente che l’Europa, inclusa l’Italia, sembri subire questi sviluppi, invece di anticipare e influenzare un cambiamento epocale. Ancora una volta tocca alla più grande potenza culturale ed economica del mondo tracciare il nostro futuro.
Dal primo gennaio è possibile acquistare marijuana nei negozi del Colorado. Ora nulla sarà più come prima. La legalizzazione è destinata a diffondersi in altri Stati americani, e cambierà sia la dinamica del dibattito politico statunitense che la «war on drugs» (la guerra alle droghe, ndr) così come la conosciamo.
Queste trasformazioni avranno effetti sui Paesi produttori e distributori. Anche l’Europa - Italia inclusa - ne sentiranno gli effetti.
L’uso della canapa indiana per ragioni mediche è già legale in una dozzina di stati Usa, come la California, dove vi sono migliaia di produttori. Dopo il Colorado e Washington, gli osservatori prevedono che l’Oregon sarà il prossimo stato a legalizzare il consumo, seguito da Arizona e Michigan. Nel 2013 questo mercato valeva quasi un miliardo e mezzo di dollari. Esiste già una rispettabilissima lobby dei produttori, The National Cannabis Industry Association, con tanto di sito internet e lista di priorità.
Diversi esponenti democratici e repubblicani hanno cominciato ad abbracciare questa causa. Thomas Miller Jr., il presidente del Senato del Maryland e vecchia volpe della politica locale, si è detto favorevole a tassare il prodotto, perché, ha aggiunto, «so in che direzione vanno le nuove generazioni». La stessa posizione è condivisa dalla candidata democratica al posto di governatore, che propone di usare i non insignificanti introiti fiscali per finanziare programmi scolastici. Secondo una stima, il Colorado potrà guadagnare 60 milioni di dollari in tasse. In tempi di crisi economica e di casse statali vuote, è più facile (e redditizio) appoggiare questa politica che non i matrimoni gay, un cambiamento impensabile fino a pochi anni fa.(...)
Come si evolverà la produzione di marijuana negli Stati Uniti? Il modello che sta emergendo prevede l’acquisto di una licenza, dal costo di mille dollari l’anno, che permette di coltivare e vendere il prodotto esclusivamente nello Stato, senza limiti alla grandezza delle tenute. Il mercato è dunque altamente regolato e localizzato. I piccoli produttori di marijuana medica con cui ho avuto modo di parlare in California qualche mese fa sanno che la legalizzazione aumenterà la competizione. In Colorado è previsto un periodo di transizione di nove mesi, durante il quale i coltivatori di cannabis medica avranno il monopolio sulla produzione, poi il sistema verrà aperto a chiunque ha i requisiti per ottenere una licenza. Quando arriveranno produttori di medie dimensioni, questi vorranno sfruttare le economie di scala e quindi modificare la legge che impedisce di vendere fuori dallo stato. Senza dubbio verrà presto emendata anche la legge bancaria federale che impedisce di depositare su un conto corrente i proventi di questo commercio.
Vi saranno presto altri sviluppi. È inevitabile che l’importazione di marijuana dal Messico si ridurrà in maniera significativa e così gli Stati Uniti avranno un mercato illegale in meno. Questo cambiamento avrà un effetto sui cartelli messicani, che perderanno tra il dieci e il trenta percento dei loro introiti. Nondimeno il grosso dei profitti dei cartelli proviene dal traffico della cocaina, dall’immigrazione illegale e dalle estorsioni. I narcos continueranno a prosperare e farsi la guerra, ma dovranno diversificare il loro portfolio.
D’ora in poi sarà molto difficile per il governo americano difendere la «war on drugs» nella sua forma attuale. L’amministrazione Obama è riuscita a far passare una risoluzione della Nazioni Unite contro la legalizzazione della marijuana in Uruguay. Nel passato recente, ha cercato in tutti i modi di bloccare i programmi per rendere legale la produzione nello stato canadese della British Columbia, minacciando ritorsioni di carattere economico. Con quale credibilità potrà mantenere queste posizioni? Il presidente del Messico ha posto la questione a Obama durante un incontro recente. Che senso ha spendere miliardi di dollari e rischiare la vita di migliaia di agenti per combattere il commercio di una merce che è legale al di là del confine? È dunque prevedibile che nel giro di pochi anni il Canada e gran parte dell’America latina adotteranno misure simili a quelle del Colorado. A quel punto sarà più difficile difendere l’attuale modello di produzione locale, e una liberalizzazione di dimensioni continentali sarà all’ordine del giorno, nella spirito degli accordi sul libero commercio dell’America del Nord (Nafta).
In questo scenario non troppo fantascientifico, anche l’Europa sarà costretta ad adeguarsi. Le multinazionali della marijuana prenderanno il posto dei romantici coltivatori di piantine e, come i lobbisti di Big Tobacco, cercheranno di convincere i consumatori che gli effetti sulla salute sono insignificanti. È così che operano le forze dell’economia, dove le campagne per la libertà di consumare presto si intersecano con interessi economici globali. I mercati illegali diventano legittimi, aumenta la base imponibile e il commercio prende il posto della repressione.
Una volta vinta la battaglia per la legalizzazione, è bene non dimenticare che la sovranità del consumatore va comunque limitata da un sano senso di responsabilità individuale e da regole non negoziabili. È in ogni caso deprimente che l’Europa, inclusa l’Italia, sembri subire questi sviluppi, invece di anticipare e influenzare un cambiamento epocale. Ancora una volta tocca alla più grande potenza culturale ed economica del mondo tracciare il nostro futuro.
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