Francesco Dell'Aira |
Il convegno promosso da radicaliperugia - Giovanni Nuvoli è stato indubbiamente un successo: alla presenza di una sessantina di partecipanti e con la partecipazione della rai e di radio radicale per cui,. cliccando qui , si può riascoltare l'evento, si è parlato della situazione carceraria in Italia con particolare riferimento alla situazione umbra, all'interno della quale si pone la mancanza di rispetto della legge regionale del 2006 che istituisce la figura del garante.Una situazione grave che è stata stigmatizzata da tutti, compreso il vice presidente del consiglio regionale, Damiano Stufara e dal consigliere Fausto Gabanello i quali hanno dato la notizia che proprio nella mattinata di venerdì la maggioranza di palazzo Cesaroni ha deciso di calendarizzare la questione nei lavori del consiglio. Un buon passo in avanti ma dobbiamo stare molto in guardia, perchè le resistenze sono tante compreso quel quorum dei due terzi per l'elezione che comporta il rischio di un fallimento. Stufara ha aggiunto che se non si riesce a trovare un accordo con la minoranza allora verrà proposta una legge per l'abbassamento del quorum. Vedremo. Quello che a noi interessa è che le candidature siamo avanzate nel modo più trasparente possibile, per esempio con la pubblicazione online dei curricula di tutti i candidati. Questo metodo aiuta a spazzare via ogni illazione di gestione partitocratica della nomina del garante e aiuta ad acquisire una maggiore fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, in particolare rispetto a questa figura decisiva per l'umanizzazione della vita nelle realtà carcerarie regionali.
Qui sotto pubblichiamo l'intervento programmato di Francesco Dell'Aira - che ringraziamo molto per la disponiblità - al convegno di venerdì scorso.
Andrea Maori
La
figura del Garante: la situazione in Umbria.
Premessa.
Alla
data del 31 marzo 2012 erano presenti
negli istituti penitenziari italiani 66.695 detenuti, di cui 2.863 donne con un tasso di affollamento che
pone l’Italia al secondo posto in Europa e con un trend in crescita seppure in
debole flessione.
Dato numerico
significativamente allarmante e che unito all’altro dato che circa l’80 per cento della popolazione
carceraria è costituita dalla cosiddetta detenzione sociale, ovvero da persone
che vivono uno stato di svantaggio, disagio o marginalità (immigrati,
tossicodipendenti, emarginati) per le quali, più che una risposta penale o
carceraria, sarebbero opportune politiche di prevenzione e sociali appropriate,
dovrebbe suscitare forti reazioni emotive
Il
detenuto è debole tra i deboli. Da qui, la necessità di istituire una figura di
intermediazione tra mondo istituzionale e sistema dei diritti civili al fine di
ridurre la distanza tra diritti
proclamati e realtà “pratica”.
La strada principale indicata da alcune
forze politiche ed associazioni e
riferita alla nomina del garante nazionale darebbe ordine, maggiore
autorevolezza e concretezza all’istituto.
Una
autorevole figura di livello nazionale, dotata di poteri ispettivi e di
accertamento, potrebbe avere una maggiore capacità di intervento esaminando le segnalazioni provenienti dai
garanti regionali, provinciali e comunali, ma la dimensione operativa più
equilibrata continua ad essere quella regionale. L’incardinamento
della figura in ambito regionale ben si armonizza con le funzioni già proprie
della Regione realizzando un sistema integrato di interventi (funzioni di indirizzo e coordinamento con le
ASL, gli enti locali territorialmente competenti e gli altri soggetti pubblici e privati
interessati alle politiche di inclusione e di reinserimento sociale a favore
dei detenuti, dei soggetti a misure alternative e sostitutive alla detenzione e
degli ex detenuti).
La condizione nazionale.
Si
assiste oggi in Italia ad una sempre più forte insofferenza rispetto ai
problemi della giustizia, soprattutto per i mali endemici che l’affliggono. Fra
questi un impianto complessivo obsoleto, ritardi inaccettabili e non più
congrui e insoddisfazione in termini di giustizia sostanziale che non entra nel
merito delle questioni e dei risvolti che dall’azione giudiziaria derivano.
A
Roma il 25 aprile alla manifestazione a sostegno di un provvedimento di
amnistia gli stessi che protestavano (a buona ragione) evidenziando le
ingiustizie subite chiedevano che i responsabili fossero individuati e puniti dalla giustizia.
Può
apparire una contraddizione in termini se non avessimo una chiave di lettura
più ampia che è quella di una giustizia giusta.
Perché
ciò sia è necessaria una azione equilibrata e di largo respiro. Soprattutto è
necessario che ciascuno provi a fare: con senso reale delle cose, nell’ambito
della sua capacità di fornire un
contributo, con il ben chiaro imperativo che non vi è più tempo e che il
sistema può implodere perché incapace di funzionare.
La sentenza della Corte Costituzionale 26/99 ha evidenziato come i contenuti dell’articolo 27 c. 3 della Costituzione si traducono “non solo in norme e direttive obbligatorie, ma anche in diritti delle persone detenute”. La pronuncia, prescrivendo l’adozione di una specifica procedura giurisdizionale in merito ai reclami dei detenuti al magistrato di sorveglianza, interveniva a dare concretezza ad una materia, quella appunto dei diritti dei detenuti, caratterizzata da evanescenza e incertezze. La sentenza ha messo in luce la grande lacuna esistente nel sistema delle garanzie di quei diritti delle persone private della libertà - come i diritti alla salute, alle relazioni affettive, alla corrispondenza riservata, alla privacy - che non possono essere disponibili in quanto non è sulla loro compressione che si basa la carcerazione.
La condizione in Umbria.
In
Umbria abbiamo due punti fermi estremamente significativi e che consentono di
mettere concretamente in sinergia tutte le risorse disponibili veicolando nel
modo più efficace le azioni:
1)
il protocollo di intesa tra la Regione Umbria ed il
Ministero della Giustizia, siglato a Perugia il 7 marzo 2001.
Basta scorrere l’indice per percepirne l’ampiezza
del panorama di intervento che si riferisce (citando in solo indice) a tutte le
problematiche sulle quali occorre intervenire:
·
territorializzazione della pena,
·
edilizia,
·
interventi specifici rivolti a particolari
situazioni: donne e stranieri,
·
interventi a favore dei minorenni,
·
le comunità per i minori in area penale,
·
esecuzione penale all’esterno,
·
partecipazione del volontariato,
·
formazione ed aggiornamento degli operatori,
·
polizia penitenziaria,
·
tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro, all’interno degli istituti,
·
assistenza alle vittime del delitto.
2)
la legge regionale 18 Ottobre 2006, n. 13, recante
“Istituzione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o
limitative della libertà personale”. La Regione Umbria istituisce un apposito
organismo per tutelare i diritti dei soggetti sottoposti a misure limitative
della libertà personale. La legge stabilisce, nel testo aggiornato, funzioni e
modalità di nomina del Garante.
Abbiamo
poi un valore aggiunto nella sensibilità “sociale”, quella rivolta alle persone
in difficoltà e che caratterizza le azioni e gli indirizzi di questa Regione.
Si
può osservare in modo chiaro come l’impegno, sul versante delle politiche sociali, si
sia sempre orientato a privilegiare i temi del reinserimento sociale e lavorativo e della
tutela della salute delle persone detenute, con l’obiettivo di costruire le condizioni per il reinserimento
sociale delle persone detenute ed ex detenute, dando centralità ai temi dell'educazione, della
formazione e del lavoro che si proiettano dalla fase della detenzione a quella
dell’uscita dal circuito detentivo.
Sulla
base di questi presupposti offro il mio contributo che vuole sottolineare:
·
intanto la necessità che alle azioni dichiarate
seguano quelle operative e quindi che si dia esecuzione completa alle disposizioni
normative ed agli accordi stipulati, che è elemento primo per poter seguire una
azione programmatica e condivisa.
·
Che si comincino
a sgretolare i luoghi comuni ed i preconcetti che spesso sono solo
convinzioni superficiali e non sostenute da più profonda conoscenza ed analisi.
Nel concetto comprendo anche la rigidità mentale rispetto alla capacità di rivedere soluzioni che si sostengono senza
averle sufficientemente condivise né
confrontate;
·
Che pertanto le azioni siano legate a processi di
conoscenza, dialogo, analisi e soprattutto all’identificazione delle
responsabilità all’interno di un processo nel quale si sappia chi fa cosa, ma
anche con quali tempi e con quali risultati attesi.
Quali
siano i temi da affrontare, quali le
azioni possibili e coordinate alle quali si può fare riferimento in un ambito di sinergia istituzionalizzata e
quale sia il valore aggiunto che possa sostenere la presenza della nuova figura
del garante di cui oggi si parla li riassumo in forma assolutamente sintetica e
ben consapevole che molti altri tasselli possono aggiungersi all’interno del
confronto cui auspico fortemente.
La
territorializzazione,
La popolazione
di provenienza o di nascita umbra rappresenta una minoranza rispetto
alle persone detenute e presenti in Umbria.
Non è possibile fare una stima realistica per le
troppe variabili presenti. Evidente, ad esempio che il luogo di nascita non si
associa con quello di residenza e viceversa, pur tuttavia si può sostenere che
essendo i detenuti di origine Umbra meno
di 700 in tutta Italia, allora non si comprende una così continua crescita e localizzazione di istituti penitenziari
nella Regione che ha assistito negli ultimi tempi ad un continuo aumento della popolazione presente che andrà ad
attestarsi intorno alle 2.000 unità entro l’estate con l’apertura del nuovo
padiglione di Terni.
In aggiunta alle ragioni che hanno preoccupato il
legislatore del 1975 e riferite al tema delle relazioni familiari del detenuto con la
propria famiglia, che sono intuitive, si deve rilevare che la condizione comporta una serie di costi e di investimenti
di risorse notevoli per la Regione.
Quello
più rilevante lo si rinviene
nell’assistenza sanitaria, ma non sono di minore conto gli interventi nel campo
della formazione professionale e del reinserimento che sono necessariamente
rivolti a persone che non resteranno in Umbria e quindi si assiste ad un
depauperamento di risorse senza un tangibile ritorno.
La presenza di percentuali vicine al 50% di
detenuti stranieri (prevalentemente con riferimenti in altre zone del Paese) li
esclude poi da molti dei benefici previsti dalla legge penitenziaria e crea
ulteriori sacche di discriminazione.
Tutti coloro che sono privi di un domicilio o della
residenza infatti non riescono ad accedere alle misure alternative e ai
percorsi terapeutici finalizzati al recupero dei tossicodipendenti o, nei casi
di malattia, alla detenzione domiciliare per motivi di salute, perché mancano
dei requisiti indispensabili: residenza, documenti di identità, alloggio,
sostegno esterno.
Una stabilizzazione della popolazione detenuta
consentirebbe di eliminare continui e deleteri spostamenti che sono grande
fonte di dispersione delle risorse.
La
composizione della popolazione detenuta in Umbria.
Molto rapidamente, si può aggiungere che si assiste alla presenza sul territorio di
diverse tipologie di detenuti, rispetto al reato, alla condizione ed agli
aspetti della sicurezza. Abbiamo così Case circondariali e Case di reclusione
dove sono contemporaneamente ristretti detenuti di media sicurezza, di alta
sicurezza, detenuti della categoria “protetti”, del circuito 41-bis.
Questo ci interessa perché determina un flusso
continuo di familiari che, come
osservato dalle forze dell’ordine, potrebbe costituire un elemento di
infiltrazione riflessa che crea problemi di controllo del territorio e di
contrasto alla criminalità.
Ragioni tutte che coinvolgono vari aspetti politici
e di amministrazione di competenza del territorio.
La
sanità,
Un punto
critico è anche l’aumento dei detenuti malati.
Sono più numerosi gli anziani e i malati di gravi patologie, o le
persone che soffrono di disagio psichico.
Su tale
condizione incide anche la riduzione delle possibilità lavorative intramurali e
la crisi economica che attraversa il Paese e che ha ridotto le possibilità di
spesa dei detenuti. Vi si aggiunge l’azzeramento dei fondi di bilancio per la fornitura dei
generi di pulizia. Ne consegue che
diventa difficile procurarsi il dentifricio, il sapone, lo straccio per pulire
il pavimento della cella e la carta igienica. Questa condizione aggrava la
condizione igienico sanitaria e produce ulteriore esigenza sanitaria. Si sono
riscoperte malattie ormai ritenute debellate. Uno screening infettivologico
sulla popolazione detenuta in ingresso, ha fatto emergere un quadro
preoccupante per il numero di infettati dal virus delle Epatiti B e C,
Sifilide, contagio da HIV, TBC e altre malattie infettive sulle quali occorre
intervenire. La strategia preventiva richiede risorse ed occorre fare poi conto
con il fatto che alcune di queste malattie sono ad alto rischio di contagio,
come l’Epatite B reattiva.
Nel nuovo
istituto di Capanne non è stato più realizzato il Centro clinico esistente
invece nel vecchio istituto. Questo comporta per l’Amministrazione
penitenziaria un aumento dei costi riferiti al trasferimento e piantonamento in
ospedale e la conseguente la richiesta alla Regione di ristrutturazione di
spazi da convertire in strutture detentive ospedaliere.
Le ridotte
disponibilità economiche rendono difficile persino l’invio dei
tossicodipendenti in comunità terapeutiche, peraltro previsto dalle leggi
vigenti, con conseguente aumento delle carcerazioni dei detenuti
tossicodipendenti, sia nel tempo che nel numero.
Ricerca di finanziamenti e risorse.
In termini di risorse ci si riferisce a quelle esistenti cui si può
dare maggiore impulso ed altre nuove.
Fra le prime l’Osservatorio regionale sulla
condizione penitenziarie e
post-penitenziaria che ha il compito di
promuovere l’acquisizione e la diffusione di conoscenze sulla condizione della
detenzione e sui fenomeni sociali che la determinano, nonché sulle possibilità
di reinserimento sociale. L’obiettivo dell’Osservatorio è quello di avere un
quadro sulla situazione carceraria in Umbria e di individuare i problemi e le
risorse formali ed informali del territorio. Gestione di sportelli informativi
e di orientamento ai servizi per detenuti presenti negli istituti di pena della
Regione, informazione e consulenza legale, accompagnamento nei permessi premio,
gestione di una casa di accoglienza, ideazione e realizzazione di concreti
percorsi di reinserimento socio- lavorativo, corsi di formazione.
Rispetto alle seconde mi riferisco, fra le tante
alle due principali associazioni di livello internazionale quali il LIONS ed il
ROTARY.
Di recente, utilizzando la mia esperienza ed il
profondo interesse che ancora mi appartiene, abbiamo realizzato varie
esperienze negli istituti di Terni e di Spoleto, per ora limitate a conferenze
all’interno degli istituti ed a dare visibilità al mondo penitenziario, ma la
capacità organizzativa di tali associazioni potrebbe utilmente essere
convogliata in services di più ampia portata e quindi ad
interventi strutturati.
Esistono poi le fondazioni, le associazioni di categoria
alle quali si possono presentare specifici progetti che interessano i temi che
qui si trattano.
Ulteriore finanziamento di strategie progettuali si
riferisce all’accesso ai fondi della Cassa delle Ammende. I progetti possono
essere presentati da soggetti accreditati o dalle strutture penitenziarie. La
più completa visione del livello regionale può articolare meglio e
compiutamente progetti di più alto profilo in una direzione organica e
continuativa.
Tutti conoscerete le esperienze riferite all’attività
agricola dell’istituto di Capanne, la panetteria/pasticceria di Terni, la
grande falegnameria e tipografia di Spoleto, la tessitoria di Orvieto. Attività
diversificate che sostengono ancora la necessità di un dialogo ed una
programmazione di più alto profilo.
Gli ampi spazi di cui dispone l’istituto
penitenziario sono poi utilizzabili per progetti di localizzazione di alcune
attività imprenditoriali incentivate dalla possibilità di minori adempimenti
amministrativi e dai minori costi di impianto dovuti alla concessione
pressoché gratuita delle superfici
impegnate. Il beneficio reciproco consente approcci lavorativi con la
popolazione detenuta. Un piccolo esempio è stato realizzato a Terni dove esiste
un centro di raccolta degli oli alimentari esausti.
Altro filone tutto la utilizzare è quello del
project financing, la finanza di progetto, cioè utilizzare fondi privati per
realizzare opere pubbliche. Il sistema consente di dare benefici ad entrambe le
parti. E’ una strategia innovativa cui si tende.
Conclusioni.
Siamo
in presenza di un continuo abbassamento del livello di intervento in termini di
risocializzazione e di trattamento nonostante l’imperativo costituzionale.
In
tutta Italia (e l’Umbria rispetta sostanzialmente la tendenza) le attività
lavorative intramurali si sono ridotte ai minimi storici e solo il 20% dei
detenuti svolge una attività lavorativa part-time (alcuni anche 1 ora al
giorno). Poco più di 800 detenuti sono comunque impiegati in attività
produttive (industriali o agricole), tutti gli altri in lavori domestici,
togliendo così alla principale azione trattamentale ogni ragione di carattere
educativo.
Le
attività di tempo libero e culturali risentono dell’azzeramento delle risorse
pubbliche. Il personale comincia a dare segni di sconforto rilevando sensazioni
di impotenza. Molto è ormai affidato e spesso delegato al volontariato che ha
aggiunto alle sue tradizionali attività di sostegno anche la gestione di punti
di ascolto e di fornitura dei generi di prima necessità a carattere del singolo,
ma a volta della struttura.
In
questo contesto occorre quindi analizzare la figura del Garante che nasce dalla necessità di garantire un rapporto di
trasparenza e correttezza tra tutte le pubbliche amministrazioni e/o soggetti
concessionari di pubblici servizi o convenzionati con enti pubblici e che può
essere strumento di richiamo o di facilitazione in una azione di attrazione
delle forze del volontariato e del privato sociale che, a vario titolo,
interagiscono con l’amministrazione penitenziaria e i detenuti e gli internati
o chi si trova comunque in condizioni, anche provvisorie, di restrizione della
libertà personale.
E’ previsto in quasi tutti i paesi europei e,
nell’esperienza italiana, pur in dimensioni regionali o comunali, si è dimostrato perfettamente in
linea con gli obiettivi ed in alcuni casi si è spinto a promuovere una
legislazione regionale che recepisca le specifiche difficoltà insite
nell’esecuzione penale. In Sicilia, ad esempio, è stata approvata una legge che
ammette a finanziamento la creazione di piccola impresa.
Occorre
dunque lavorare in questa direzione realizzando una maggiore integrazione tra
le strutture di dentro e quelle di fuori. Il lavoro di rete costituisce una risorsa in più anche per le positive
collaborazioni che ne possono nascere, soprattutto in tempi di crisi e di
mancanza di fondi e di personale. Il collegamento tra servizi interni al penitenziario e servizi territoriali è il primo modo per sviluppare
maggiore progettualità, finalizzata al raggiungimento di un positivo
reinserimento.
Auspico quindi che si dia esecuzione alla legge
nominando quella figura che deve avere, a mio parere, soprattutto capacità manageriali per tracciare l’analisi
delle questioni e le proposte operative di soluzione, che sia equidistante dai soggetti assumendo una
posizione di equilibrio, che possieda le caratteristiche previste dalla legge e
quindi di conoscenza profonda
dell’ambiente nel quale si muove. Che abbia autorevolezza istituzionale e
credibilità personale, che abbia stimoli sufficienti ad affrontare in un
contesto programmatico organico tutte le questioni indicate nel protocollo del
21 marzo 200l e che vanno dalle ragioni del reato, all’esecuzione penale, al
personale, al volontariato, fino alle vittime del delitto.
Dott.
Francesco Dell’Aira
(già direttore
della Casa Circondariale di Terni).
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