di Andrea Maori
<<Amnistia!>> Con
cartelli contenenti questa parola, tempo fa, nell'aula di Montecitorio, i deputati radicali passarono di
fronte al seggio di votazione sull’autorizzazione a procedere sul caso del
ministro Saverio Romano a sostegno della campagna per l’inizio di una riforma
strutturale del sistema della giustizia italiana. Grande fu lo scandalo a
sinistra e fioccarono le polemiche. Eppure quel messaggio, forte e provocatorio,
voleva sottolineare la necessità e l’urgenza di compiere passi significativi
nel senso del ripristino di condizioni
di legalità nel nostro paese. Ill Presidente della Repubblica, in un convegno
organizzato al Senato all’inizio della scorsa estate, disse che la condizione
della giustizia e delle carceri ci umilia in Europa: ha ragione il Presidente,
che nel suo intervento richiamava inoltre “la prepotente urgenza” di interventi
strutturali nel campo della giustizia. In Italia infatti esiste una totale mancanza di rispetto dei diritti
umani.
La frase può sembrare retorica ma la situazione delle carceri è al di là di ogni limite
di tollerabilità in materia di dignità umana. Sono i numeri a parlare: la presenza di 68.000 detenuti a fronte di
una capienza di 45.000 e’ evidentemente il principale problema da risolvere
riguardo il sovraffollamento e non essendoci delle valide alternative,
meriterebbe una soluzione rapida e veloce per lo snellimento dei 9 milioni di
processi civili e penali pendenti. Sono 28.000 i detenuti in attesa di giudizio
e la certezza del risultato acquisito di cui circa la metà di essi risulteranno
innocenti ci rende tristi ed incapaci di reagire dinanzi alla totale
indifferenza del paese. Le leggi “Giovanardi-Fini” e la “Bossi-Fini”
istituite dal fallimentare governo precedente in materia di tossicodipendenza
ed immigrazione ha notevolmente accentuato il problema del sovraffollamento
facendoci sprofondare nella totale mancanza dell’esistenza di uno stato di
diritto. Preoccupante è il numero di suicidi, in forte aumento, non solo tra i
detenuti ma anche tra le guardie carcerarie. Di fronte a questa situazione, da
parte della politica le situazioni individuate sono misera cosa: investimenti
milionari per nuove carceri, per la costruzione delle quali devono passare
anche parecchi anni e il rischio di allungamento dei tempi previsti – come è
successo molte volte in passato per operazioni opache – e provvedimenti pelosi
a seguito delle 180.000 prescrizioni che vengono puntualmente compiute ogni
anno e che rappresentano una vera e propria amnistia di classe: va aggiunto che
ora, a pochi giorni dall’entrata in vigore del decreto legge voluto dal
ministro della Giustizia Paola Severino – la quale ha definito le attuali
condizioni di detenzione “da tortura” - per
fronteggiare il sovraffollamento galoppante, l’unico dato certo che abbiamo
sulle scarcerazioni riguarda gli effetti della legge Alfano dell’anno precedente
(legge n. 199 del 2010) che prevedeva la possibilità di concedere la detenzione
domiciliare a chi avesse ancora un anno di pena da scontare, purché non si
fosse macchiato di crimini ritenuti di particolare gravità. Al 31 dicembre del
2011 ne hanno usufruito 4.304 detenuti. In
realtà servirebbe
un’amnistia e un indulto per 23 mila
detenuti, non questi provvedimenti cosiddetti “svuota-carceri”. I
provvedimenti di amnistia e indulto azzererebbero la situazione di tanti
detenuti in attesa di
giudizio e avrebbe effetti fortemente positivi, se accompagnato
dall'impostazione di quella "riforma complessiva ed organica del sistema
penale" che si auspica da anni per superare la crisi della giustizia
italiana, ma che mai, fino ad ora, le forze politiche sono state in grado anche
soltanto d'impostare.
In
Umbria la situazione è nella media delle criticità riscontare a
livello nazionale: con i parlamentari
radicali abbiamo effettuato, nel corso di questi ultimi anni, parecchie visite
ispettive. Al termine di una di queste, è stata presentata un’interrogazione
parlamentare – prima firmataria Rita Bernardini - che prendeva spunto dall’allarme
lanciato da un quotidiano online dal titolo esemplificativo «Le carceri umbre sovraffollate e violente. Capanne quarta
in Italia per atti di autolesionismo» nel quale si riportavano i dati forniti
dalla UIL-PA Penitenziari e relativi alla difficile situazione che stanno
attraversano gli istituti penitenziari umbri. in particolare nelle carceri della
regione dove – pur registrandosi un tasso di sovraffollamento «solo» del 47,4
per cento e, quindi, ben lontano dall’81 per cento di Puglia ed Emilia Romagna
0 dal 77 per cento della Calabria – si sono registrati, nel solo 2010, un
suicidio, 19 tentati suicidi, 258 atti di autolesionismo, 13 aggressioni agli
uomini e alle donne della polizia penitenziaria e 125 detenuti in sciopero
della fame; in particolare, nel solo carcere di Capanne. si sono verificati ben
146 atti di autolesionismo: un dato che piazza il penitenziario umbro al quarto
posto in Italia dietro Firenze Sollicciano (302), Lecce (214) e Bologna (155);
sempre secondo i dati forniti dalla Uil-Pa Penitenziari, nel 2010 gli atti
autolesionistici registrati a Spoleto sono stati 67, contro i 38 di Terni e i
sette di Orvieto. Sei invece le aggressioni a Perugia, contro le tre a testa di
Spoleto e Terni e l’unica di Orvieto. Sei i tentati suicidi a Perugia, Terni e
Spoleto contro uno soltanto a Orvieto. Cinquantadue infine i detenuti in
sciopero della fame nel carcere di Perugia contro i 59 di Spoleto, i 12 di
Orvieto e i due di Terni. Questi erano dati di quasi un anno fa e contenuti
nell’interrogazione suddetta, ma da allora, poco è cambiato. Nell’interrogazione
si chiedeva ai ministri competenti di intensificare .- <<così come
previsto nella circolare GDAP n. 0177644-2010 del 24 aprile 2010 – l’attività
di sostegno e riabilitazione dei detenuti mediante la predisposizione ed il
miglioramento di moduli procedurali che coinvolgano la polizia penitenziaria,
gli operatori dell’area educativa, il personale sanitario e gli assistenti
volontari nelle seguenti attività: a) effettuazione di sempre più accurate
scelte dell’ubicazione detentiva; b) approfondimenti dell’osservazione della
personalità; c) più celeri attivazioni di eventuali programmi diagnostici e
terapeutici anche, ad esempio, con il coinvolgimento del SE.r.T.;>>
Di fronte a tutto questo, malgrado
la buona volontà di tanti operatori, la
politica regionale mostra tutte le sue carenze di tipo partitocratico. La
vicenda della mancata elezione del garante regionale dei detenuti è la cartina
di tornasole di una mala gestione della cosa pubblica a seguito dei veti
incrociati delle forze politiche. Sono infatti anni - dal novembre 2006 mese in
cui è entrata in vigore la legge regionale (n.13/2006) che rivendichiamo l’istituzione
del garante, così come già avvenuto in altre regioni. Sono anni che, al di là
di generiche assunzioni di impegno, ci si ritrova con un nulla di fatto. E
intanto in carcere – come abbiamo visto - si rischia di precipitare
nell’ingovernabilità. Eppure questa carica istituzionale in base ad una buona
legge regionale che è stata approvata, potrebbe sicuramente aiutare ad
alleviare la situazione.
Per concludere, vorrei inviarvi una lettera di una detenuta dal carcere di
Capanne inviata a
Rita Bernardini dopo la visita che lei effettuò mesi fa in quel carcere. E’ una lettera che dice tante cose. Innanzitutto
che una condanna che arriva dopo tanti anni (15!) è semplicemente assurda. Come scrive la deputata <<Questa ragazza si
era riscattata e reinserita con la sua forza di volontà. Ciò che mi rammarica
più di ogni cosa è che avendo un reato ostativo, non potrò fare niente per lei.
Se non scriverle la verità e far conoscere, per quanto posso, la sua storia.>>
<<Dolcissima Rita sono (……..). Ci siamo
conosciute nel carcere Capanne di Perugia dove sono
ristretta, venerdì 11 marzo 2011. Sei entrata nella mia cella come un angelo.
Ti ringrazio per essere venuta a parlare con me. Ringrazio Dio per averti
mandato proprio da me. Voglio raccontarti la mia vita, la mia storia.
Sono figlia di un ex minatore che per fame negli anni 60 dalla Puglia è partito in Belgio per lavorare nelle miniere di carbone ad una profondità di mille metri. 8 ore al giorno, per ben 20 anni. Il 28 febbraio 2010 è deceduto per un tumore al polmone causato dalla silicosi, la malattia dei minatori. La mia mamma, una donna speciale, che oltre ad accudire e crescere con immenso amore 3 figli, ha trascorso la sua vita con gli anziani, facendo loro tanta compagnia. Da anni ormai, dopo essere stata colpita da una brutta ischemia, si ritrova lei ad avere bisogno di essere accudita. Mi hanno trasmesso i valori della vita, l’educazione, la dedizione al lavoro; il rispetto per gli altri, verso il prossimo.Mi sono affacciata alla vita forte dei loro insegnamenti. Ho vissuto l’adolescenza e gran parte della giovinezza serenamente, studiando prima, lavorando poi. E, come tutte le ragazze normali, andando in discoteca con le amiche, frequentando ragazzi, coltivando quella che da sempre è la mia più grande passione che da molti anni seguo regolarmente andando allo stadio, “la Roma”. Tutto questo sempre nel rispetto delle regole. Purtroppo non mi è bastato a farmi stare lontana dai guai. 16 anni fa ho conosciuto un ragazzo di cui mi sono subito invaghita e quando mi ha proposto di tenergli il fumo in un posto sicuro non gli ho saputo dire di no. Il tutto è durato non più di un mese. Il 29 giugno 1995 vengo arrestata con un’accusa pesantissima: associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Dopo tre mesi riesco a tornare libera. Rinviata comunque a giudizio ma a piede libero. Pentita per quello che avevo fatto, incazzata per come mi ero fatta raggirare, provata per quello che avevo vissuto, dopo aver chiesto perdono ai miei genitori giurandogli che non avrei più dato loro un dolore del genere. Mi sono rimboccata le maniche e ho ripreso in mano la mia vita stando molto più attenta ai fidanzati, vivendo comunque in attesa del processo che vuoi o non vuoi ha condizionato molte scelte importanti per un futuro migliore. Una su tutte, un’attività in proprio. In tutti questi anni ho sempre lavorato. La sentenza di primo grado arriva nel 1999 con una condanna a 8 anni di reclusione, confermata in appello nel 2004 e l’inammissibilità del ricorso in Cassazione nel 2009, non venendone neanche a conoscenza in quanto notificata al vecchio indirizzo. Il 6 agosto del 2010 mi vengono ad arrestare con una pena definitiva di 7 anni 8 mesi e 14 giorni. Oggi mi ritrovo rinchiusa in una cella con tutta la mia disperazione non avendo, non trovando una via d’uscita essendo il mio un reato ostativo. C’è un detto secondo il quale “le disgrazie non vengono mai sole”. Il 15 ottobre 2010, giorno del compleanno del mio papà, mi viene comunicato l’improvviso decesso di mio fratello per una broncopolmonite! Oltre al dispiacere per la sua perdita, la mia preoccupazione è andata per la mia mamma. Una famiglia distrutta, cancellata nel giro di un anno. Come farà questa donna speciale di 79 anni a sopravvivere con il marito e il figlio al cimitero e una figlia in galera? L’altro mio fratello, l’unico rimasto, nonostante il lavoro impegnativo che ha e le attenzioni che richiedono due bambine ancora piccole, trova il tempo ogni tanto di andarle a fare visita, anche se lei ha bisogno di tutt’altro. Ha bisogno di essere accudita nel vero senso della parola, come solo una figlia femmina può fare. Ho sbagliato ed è giusto che paghi, nonostante ritenga la mia pena eccessiva. Quello che non accetto e che mi devasta l’esistenza è essere stata sbattuta in galera dopo 15 anni! Mi sono reinserita da sola con 15 anni di buona condotta, lavorando, accudendo due genitori malati, comportandomi ineccepibilmente. La preoccupazione per la mia mamma mi impedisce di stare serena, per quanto sia possibile essere serena in un contesto come quello carcerario. Come uscirò nel 2018? Ma soprattutto a casa troverò ancora la mia mamma ad aspettarmi o dovrò andare a trovare anche lei al cimitero? Ho presentato istanza per la concessione dei tre anni di indulto del 2006… alleggerirebbero e non di poco la mia condanna. Proverò poi a chiedere la detenzione domiciliare speciale per poter accudire la mia mamma. Se così non dovesse essere, nulla ha più senso. Ogni giorno mi domando a cosa è servito tutto ciò che di buono ho costruito in questi anni se viene spazzato via da una legge sbagliata?
Sono figlia di un ex minatore che per fame negli anni 60 dalla Puglia è partito in Belgio per lavorare nelle miniere di carbone ad una profondità di mille metri. 8 ore al giorno, per ben 20 anni. Il 28 febbraio 2010 è deceduto per un tumore al polmone causato dalla silicosi, la malattia dei minatori. La mia mamma, una donna speciale, che oltre ad accudire e crescere con immenso amore 3 figli, ha trascorso la sua vita con gli anziani, facendo loro tanta compagnia. Da anni ormai, dopo essere stata colpita da una brutta ischemia, si ritrova lei ad avere bisogno di essere accudita. Mi hanno trasmesso i valori della vita, l’educazione, la dedizione al lavoro; il rispetto per gli altri, verso il prossimo.Mi sono affacciata alla vita forte dei loro insegnamenti. Ho vissuto l’adolescenza e gran parte della giovinezza serenamente, studiando prima, lavorando poi. E, come tutte le ragazze normali, andando in discoteca con le amiche, frequentando ragazzi, coltivando quella che da sempre è la mia più grande passione che da molti anni seguo regolarmente andando allo stadio, “la Roma”. Tutto questo sempre nel rispetto delle regole. Purtroppo non mi è bastato a farmi stare lontana dai guai. 16 anni fa ho conosciuto un ragazzo di cui mi sono subito invaghita e quando mi ha proposto di tenergli il fumo in un posto sicuro non gli ho saputo dire di no. Il tutto è durato non più di un mese. Il 29 giugno 1995 vengo arrestata con un’accusa pesantissima: associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Dopo tre mesi riesco a tornare libera. Rinviata comunque a giudizio ma a piede libero. Pentita per quello che avevo fatto, incazzata per come mi ero fatta raggirare, provata per quello che avevo vissuto, dopo aver chiesto perdono ai miei genitori giurandogli che non avrei più dato loro un dolore del genere. Mi sono rimboccata le maniche e ho ripreso in mano la mia vita stando molto più attenta ai fidanzati, vivendo comunque in attesa del processo che vuoi o non vuoi ha condizionato molte scelte importanti per un futuro migliore. Una su tutte, un’attività in proprio. In tutti questi anni ho sempre lavorato. La sentenza di primo grado arriva nel 1999 con una condanna a 8 anni di reclusione, confermata in appello nel 2004 e l’inammissibilità del ricorso in Cassazione nel 2009, non venendone neanche a conoscenza in quanto notificata al vecchio indirizzo. Il 6 agosto del 2010 mi vengono ad arrestare con una pena definitiva di 7 anni 8 mesi e 14 giorni. Oggi mi ritrovo rinchiusa in una cella con tutta la mia disperazione non avendo, non trovando una via d’uscita essendo il mio un reato ostativo. C’è un detto secondo il quale “le disgrazie non vengono mai sole”. Il 15 ottobre 2010, giorno del compleanno del mio papà, mi viene comunicato l’improvviso decesso di mio fratello per una broncopolmonite! Oltre al dispiacere per la sua perdita, la mia preoccupazione è andata per la mia mamma. Una famiglia distrutta, cancellata nel giro di un anno. Come farà questa donna speciale di 79 anni a sopravvivere con il marito e il figlio al cimitero e una figlia in galera? L’altro mio fratello, l’unico rimasto, nonostante il lavoro impegnativo che ha e le attenzioni che richiedono due bambine ancora piccole, trova il tempo ogni tanto di andarle a fare visita, anche se lei ha bisogno di tutt’altro. Ha bisogno di essere accudita nel vero senso della parola, come solo una figlia femmina può fare. Ho sbagliato ed è giusto che paghi, nonostante ritenga la mia pena eccessiva. Quello che non accetto e che mi devasta l’esistenza è essere stata sbattuta in galera dopo 15 anni! Mi sono reinserita da sola con 15 anni di buona condotta, lavorando, accudendo due genitori malati, comportandomi ineccepibilmente. La preoccupazione per la mia mamma mi impedisce di stare serena, per quanto sia possibile essere serena in un contesto come quello carcerario. Come uscirò nel 2018? Ma soprattutto a casa troverò ancora la mia mamma ad aspettarmi o dovrò andare a trovare anche lei al cimitero? Ho presentato istanza per la concessione dei tre anni di indulto del 2006… alleggerirebbero e non di poco la mia condanna. Proverò poi a chiedere la detenzione domiciliare speciale per poter accudire la mia mamma. Se così non dovesse essere, nulla ha più senso. Ogni giorno mi domando a cosa è servito tutto ciò che di buono ho costruito in questi anni se viene spazzato via da una legge sbagliata?
Cara Rita, con il cuore
in mano t’imploro di non abbandonarmi. Di non rendere vano il nostro incontro
ma di prendermi a cuore aiutandomi a tornare quanto prima a casa.
Con immensa stima>>
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