E’ di stretta attualità il dibattito sul finanziamento pubblico ai partiti. Ma oltre alla truffa dei cosiddetti “rimborsi elettorali” esistono altre fonti di finanziamento pubblico diretto o indiretto di cui si nutre la parassitaria partitocrazia italiana: dai contributi che sotto varie forme affluiscono nelle casse dei partiti all’impunità per l’affissione abusiva di manifesti elettorali.
Tra i mille canali di sostegno pubblico ai partiti, uno dei più convenienti e “invisibili” è quello rappresentato dai cosiddetti “monogruppi” nei consigli regionali, ossia gruppi consiliari che sono composti da un solo consigliere.
I gruppi consiliari godono di una serie di dotazioni in strutture, servizi e personale, finanziate con denaro pubblico; in Umbria ad esempio ciascun gruppo ha diritto ad un ufficio arredato, attrezzature informatiche e telefoniche, un ufficio di segreteria composto da 2 a 6 unità oltre a un responsabile ed alla copertura delle spese per stampa di manifesti e pubblicazioni, spese postali e telefoniche, consulenze, cancelleria, libri, quotidiani e riviste.
Nella nostra regione, su dieci gruppi regionali solo 2 (PD e PDL) superano la soglia minima richiesta dei 3 consiglieri per formare un gruppo, mentre dei rimanenti otto, 3 sono formati da due consiglieri e ben 5 sono “monogruppi” grazie a delle deroghe concesse dall’Ufficio di Presidenza in maniera rigorosamente bi-partisan a consiglieri di destra e di sinistra. Ma allora, a cosa serve il famigerato gruppo misto?
Secondo il quotidiano “La Repubblica” i monogruppi regionali in Italia gravano sulle casse pubbliche per oltre 30 milioni di euro ogni anno, rappresentando un vero e proprio sperpero di denaro pubblico.
Michele Guaitini (tesoriere) e Andrea Maori (segretario) - "radicaliperugia.org - Associazione Giovanni Nuvoli"
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