martedì 17 aprile 2012

I costi della partitocrazia. I “monogruppi” regionali: un bottino da 30 milioni all’anno. Il caso della Regione Umbria



E’ di stretta attualità il dibattito sul finanziamento pubblico ai partiti. Ma oltre alla truffa dei cosiddetti “rimborsi elettorali” esistono altre fonti di finanziamento pubblico diretto o indiretto di cui si nutre la parassitaria partitocrazia italiana: dai contributi che sotto varie forme affluiscono nelle casse dei partiti all’impunità per l’affissione abusiva di manifesti elettorali. 

Tra i mille canali di sostegno pubblico ai partiti, uno dei più convenienti e “invisibili” è quello rappresentato dai cosiddetti “monogruppi” nei consigli regionali, ossia gruppi consiliari che sono composti da un solo consigliere.

I gruppi consiliari godono di una serie di dotazioni in strutture, servizi e personale, finanziate con denaro pubblico; in Umbria ad esempio ciascun gruppo ha diritto ad un ufficio arredato, attrezzature informatiche e telefoniche, un ufficio di segreteria composto da 2 a 6 unità oltre a un responsabile ed alla copertura delle spese per stampa di manifesti e pubblicazioni, spese postali e telefoniche, consulenze, cancelleria, libri, quotidiani e riviste.

Nella nostra regione, su dieci gruppi regionali solo 2 (PD e PDL) superano la soglia minima richiesta dei 3 consiglieri per formare un gruppo, mentre dei rimanenti otto, 3 sono formati da due consiglieri e ben 5 sono “monogruppi” grazie a delle deroghe concesse dall’Ufficio di Presidenza in maniera rigorosamente bi-partisan a consiglieri di destra e di sinistra. Ma allora, a cosa serve il famigerato gruppo misto?

Secondo il quotidiano “La Repubblica” i monogruppi regionali in Italia gravano sulle casse pubbliche per oltre 30 milioni di euro ogni anno, rappresentando un vero e proprio sperpero di denaro pubblico.


Michele Guaitini (tesoriere) e Andrea Maori (segretario) - "radicaliperugia.org - Associazione Giovanni Nuvoli"

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