Marco Pannella? Un vero liberale per il bene del paese di Francesco Pullia
Dal supplemento culturale de "Il Secolo d'Italia", domenica 28/11/2010
Pannella parlava di "peste italiana" per indicare la metamorfosi del male scaturita ...
A leggere il libro che Valter Vecellio ha dedicato a Marco Pannella. Marco Pannella. Biografia di un irregolare, pp. 283, Rubbettino, 2010, € 18,00) ci si trova immersi in ottant'anni di storia culturale e politica attraversati disinvoltamente con il massimo di fantasia e lucidità, con quel tanto di follia che solo a pochi è concesso
coltivare e amministrare con saggezza. E si può comprendere molto bene perché il leader radicale, in perenne, pascaliana, sfida con il rischio e il paradosso, costituisca, a partire dall'esordio, giovanissimo, tra le file liberali, un enigma e un emblema in un paese in cui predominano mercimonio, doppiezza, corruzione.
Non a caso, Leonardo Sciascia, che in un memorabile articolo del 1987 ebbe a scrivere che l'Italia non è, come retoricamente si suole ripetere, la culla del diritto bensì, ahinoi, la sua bara, insisteva sulla necessità di rompere quel patto tra stupidità e violenza che manifestamente si riscontra nelle vicende nazionali. Lo stesso
Pannella ha efficacemente coniato l'espressione "peste italiana" per indicare la metamorfosi del male scaturita da sessant'anni di partitocrazia antifascista seguiti a venti di partitocrazia fascista.
In questo contesto non può che risultare anomalo chi, come lui, adottando la nonviolenza come metodo di proposta (mai di protesta), afferma di lottare non per sé, non per proprio tornaconto, ma per il pieno rispetto di regole costituzionali violate proprio dai loro promulgatori. In una società come la nostra, pronta sempre a dividersi
in stereotipate contrapposizioni ideologiche, ad erigere steccati oltre cui pare impossibile lanciare lo sguardo, uno come Pannella, che si professa credente «in altro che nell'oro e nel potere mondano», non può che essere considerato un corpo estraneo e, pertanto, condannato ad espunzione dall'agorà dei media. E quando non lo si può espellere,
lo si dileggia e infama come più di mezzo secolo di polemiche con la sinistra comunista e massimalista stanno a testimoniare.
Pannella è stato giudicato, nel corso di questo sessantennio, inopportuno, intempestivo, velleitario, provocatore, "mezzofascista" perché, in tempi non sospetti, si faceva arrestare nelle piazze del "socialismo reale", ponendo in primo piano la politicità della sfera individuale, dei diritti civili, dei bisogni e delle responsabilità (inter)soggettive. Ed ecco, dunque, l'indispettita risposta di Togliatti, su Paese Sera del 26 marzo 1959, al ventottenne esponente radicale che aveva avuto la "sfrontatezza" di scrivere in una lettera aperta non per niente intitolata La sinistra democratica e il Pci che "poche lotte si sono combattute più aspre e continue di quelle che hanno opposto democratici e comunisti". Ecco l'intervista rilasciata nel 1966 da Pannella a Giano Accame in cui, con estrema chiarezza, si denunciava che «il Pci ha sostenuto l'estensione delle strutture corporative volute dal fascismo» e che "quadri" del Pci erano divenuti
dirigenti dell'Eni, ente che, stando a quanto avevano coraggiosamente dimostrato i radicali nel 1963, agiva, sotto la guida del "partigiano" Enrico Mattei, come centro di corruzione e condizionamento politico.
«Bisogna sfatare - diceva allora Pannella - il mito di un'opposizione totale del Pci al sistema, per analizzare invece anche la storia di compromissioni».
Da qui alle invettive, agli insulti, fino ai ceffoni ricevuti dal leader radicale nel maggio del 1976 sotto la storica sede comunista di via delle Botteghe Oscure il passo è breve. Nel 1979 un appassionato intervento sull'attentato di via Rasella e sull'eccidio delle Fosse Ardeatine causa trambusto al congresso del Pci: «Se non si rifiutano le leggi barbare della guerra rendeteci conto, se siete così feroci contro Curcio, il loro errore e la loro disperazione dei 44 ragazzi
altoatesini fatti saltare per aria a via Rasella solo perché portavano un'altra divisa e per cui sono morti poi i compagni di G.L. e ebrei alle Ardeatine! Non possiamo fare la storia senza questi dilaniamenti interiori e senza dire che se si è barbari ed assassini, non è il fatto che la causa sia giusta o meno che ci può affrancare (…) Se barbari ed assassini sono i ragazzi dell'azione cattolica, Curcio che,sulla base delle iconografie dei San Gabriele e San Michele, con il
piede schiacciano il demonio e diventano giustizieri ammazzano, massacrano e si immolano, allora anche Carla Capponi, la nostra Carla, medaglia d'oro della Resistenza, per averla messa a via Rasella, con Antonello, con Amendola e gli altri debbono ricordare quella bomba».
Leggendo la biografia di Pannella, di questo leone che ad ottant'anni fa ancora sentire il suo ruggito, si ha la consapevolezza di come e quanto con testardaggine e coerenza abbia dato costantemente voce e corpo, spingendosi a mettersi a repentaglio, ad una visione liberale, socialista, riformatrice, radicalmente antitetica
all'antidemocraticismo espresso da una sinistra massimalista, totalitaria, alimentata da miti artefatti, rosa da odio e ideologici rancori. Non è privo di significato il veto opposto, di recente, dal Pd di Veltroni alla sua candidatura sia al parlamento italiano che a quello europeo come si capisce molto bene perché, sotto il governo Prodi, fu negata, in modo illegittimo, la sua elezione al senato.
Da sempre, dice Vecellio, Pannella insegue lo stesso sogno, quello cioè di un'alternativa liberale. La sua «non è una vita, è una saga, per raccontarla non basterebbero i volumi dell'enciclopedia Treccani».
Pannella fa paura. Per questo è stato messo al bando dalla partitocrazia di ieri come da quella di oggi. Indubbiamente non può non incutere timore un uomo che, nel segno della gandhiana forza della verità, preferisce alla compagnia di Putin, Gheddafi, Hu Jintao e, in generale, dei peggiori satrapi del pianeta, quella dei montagnard di Kok Ksor massacrati, perché cristiani, dal regime vietnamita, del buddhista Thich Quang Do, segregato in monastero dai dittatori di Saigon, del Dalai Lama e dei tibetani sottoposti a genocidio dal governo cinese, degli uiguri in lotta con Pechino, di Aung San Suu Kyi e dei monaci birmani, del cambogiano Sam Raisi, dei dissidenti cubani, di tutti i popoli violentati e dimenticati perché al di fuori di immondi interessi e logiche opportunistiche. Pannella fa paura perché
lucidamente e con perseveranza indica una via d'uscita all'assurdità dei vari piazzali Loreto, agli scempi di umanità, alla barbarie che quotidianamente ci attraversa e offende. La sua è la via della nonviolenza secondo cui nessun Caino dev'essere ammazzato (esemplare, in questo senso, è il generoso impegno per salvare prima Saddam e
adesso Tarek Aziz). È la via di un umanesimo altro o, per meglio dire, di un transumanesimo fondato non tanto su un generico rispetto dell'altro quanto sulla valorizzazione dell'essere compresenti. Rispetto ai machiavellismi d'accatto, Pannella c'insegna che è possibile restituire nobiltà alla politica perché, come sottolinea Vecellio, «non è vero che il fine giustifica i mezzi. Piuttosto è vero il contrario: i mezzi prefigurano e qualificano il fine e la durata è la forma delle cose».
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