Maria Rosi, consigliere PDL alla regione Umbria interviene sulla RU486, e lo fa seguendo il solito copione allarmistico che invece sostiene di non voler adottare. Così, nel suo intervento, un florilegio di spauracchi offensivi per il suo genere. La salute delle donne, bla-bla bla, che vuol “far prendere coscienza alle donne”, preoccupata perché l’RU486 “è un trattamento che mette a repentaglio la loro vita”, bla-bla, “oltre ad avere una scarsa considerazione dei loro diritti”, perché ingerendo la famigerata pillola “non si mangia un gelato”, “né tanto meno si cura un mal di gola” e amenità simili. Cose già sentite, che risentiremo ancora.
Poco importa il fiume di dati della sperimentazione oramai disponibile da più di un ventennio, statistiche senza un numero significativo di complicazioni cliniche che abbiano portato alla morte le pazienti, non interessano le relazioni dell’OMS sulla sicurezza del mifepristone, la sua diffusione negli stati o il fatto non secondario che la sua introduzione possa evitare l’utilizzo di metodi chirurgici e dell’anestesia, o ancora, la riduzione dell’utilizzo di prostaglandine nelle interruzioni di gravidanza nei casi di morte fetale. La contrarietà è puramente ideologica e nello scellerato patto tra governo e gerarchie vaticane, logica e scienza non contano nulla.
Segue difatti dichiarazione che, perché cattolica, crede fermamente nella vita, ma che “l’interruzione di gravidanza già prevista nel nostro ordinamento” almeno è rispettosa dei diritti della donna, completamente assistita prima e dopo la sua decisione. Insomma la vecchia storia sempre buona, bene il bisturi, la pillola no perché è troppo facile e potrebbe indurre le donne a pensare che l’aborto sia una passeggiata ai mercatini. In fondo se in questo paese siamo fermi al partorirai con dolore, potremo noi rischiare di sancire il principio con un abortirai senza sofferenze?
In sostanza nulla di nuovo sotto il solleone, il mantra governativo è ripetuto fino allo sfinimento un po’ da tutti i rappresentanti del centro destra e dai quei settori di centro sinistra che un tempo eravamo abituati a descrivere “teodem”, termine leggermente in disuso, forse anche per i molteplici scandali che affliggono la chiesa cattolica.
Ma è nella dichiarazione centrale che possiamo intravedere la nuova linea di pensiero;
“il metodo Ru486 debba essere seriamente rivisto, anche in considerazione dei pareri scientifici più volte espressi dal Consiglio Superiore della Sanità, a partire dall'obbligatorietà del ricovero”
che tradotto, significa; scoraggiamo l’utilizzo della RU486 con la permanenza nella struttura ospedaliera per tre giorni, così poi potremo attaccare le regioni sul piano dei costi e dei posti letto, già in seria difficoltà, a causa della mancanza di risorse e per le oscure nubi che addensano intorno all’imminente manovra economica. Questo è il senso e la strategia delle linee guida ministeriali partorite della Roccella. Non possiamo obbligare le donne al ricovero coatto senza modificare la costituzione, quindi creiamo una campagna di propaganda basata sulla sfiducia e sulla paura, accompagnandola con saggi e oculati consigli al risparmio e un pizzico di cattolicità, paventando in potenza, costi insostenibili, strutture inadeguate, minacce e ricatti ai responsabili che oseranno praticare i trattamenti non rispettando la regola dei tre giorni.
Cosa già successa alla regione Lazio, dove la Polverini sta cercando di bloccare l’utilizzo del farmaco in virtù di un’analisi strutturale delle capacità d’accoglienza dei suoi ospedali e sui costi del servizio.
In conclusione, come spesso accade per gli scontri che non basano le proprie fondamenta nel rispetto degli individui e nella pluralità, stiamo assistendo al solito tentativo di trasferire la morale di alcuni nei diritti di tutti, altro che preoccupazione per la salute delle donne.
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