Sappiamo che nei paesi industrializzati un aumento oltre un certo livello della quantità di sanità intesa come strutture, personale, tecnologie, non produce salute. Alcuni ricercatori hanno stimato che il raggiungimento della longevità dipende per il 20-30% dal patrimonio genetico, per il 20% dall’ecosistema, per il 40-50% dai fattori socioeconomici e solo per 10-15% dai fattori strettamente sanitari ( Crivellini M., “Sanità e Salute: un conflitto di interessi”, ed. F. Angeli, 2004). Questo dato, insieme al comune buon senso può suggerire alcune domande : “perché la stragrande maggioranza del bilancio della nostra regione è assorbito da questo settore ?”, “come vengono impiegate le risorse?”, “esistono criteri di efficienza, efficacia del sistema?”, “sono appropriate le scelte o le non scelte che vengono fatte dalla classe politica umbra?”.
Ma c’è un'altra domanda che attende risposta: “da dove iniziare per razionalizzare le risorse disponibili senza perdere qualità?”. La strada forse era stata indicata dal referendum sulla riduzione della ASL regionali e di nuovo rilanciata dalla nostra regione “sorella”, le Marche, tre anni fa con l’istituzione dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale che sta puntando alla riduzione dei costi nell’ottica di un livello di servizio superiore, più equilibrato sul territorio ed omogeneo.
Eppure poco si muove in questo senso in Umbria. Quattro sono le aziende sanitarie locali, inamovibili come feudi che trovano il consenso dei “capitani di ventura” dei partiti di maggioranza e opposizione, due le aziende ospedaliere. Quanto si potrebbe risparmiare nel medio e lungo termine con un loro accorpamento a partire dalle strutture amministrative? Che ricaduta avrebbe ciò in termini di scelte politiche, ora latitanti alla vigilia del nuovo Piano Sanitario Regionale?
Di fatto, le decisioni allo stato attuale avvengano principalmente in seguito ad una progressiva caduta di risorse, di personale, che sembra scientificamente programmata, per quel presidio ospedaliero o per quel distretto sanitario, fino a farlo capitolare. Tutto ciò ha un costo non solo economico ma grava sugli utenti, in termini di servizio offerto e sugli operatori sanitari ai quali viene tolta la possibilità di un progetto lavorativo dignitoso.
Il segretario regionale dello SDI, Roberto Bertini, nel corso di un seminario sulla sanità organizzato alcuni giorni fa dal suo partito, ha toccato il tema della revisione dell’assetto delle aziende sanitarie regionali dell’Umbria. E’ necessario che chi ha responsabilità politica mostri coraggio e eviti di rinviare oltre questo passaggio che per noi radicali è prioritario. Durante l’ultima campagna elettorale della Rosa nel Pugno promuovemmo un convegno sulla sanità e la salute a Spoleto e chiedemmo di dare un taglio alla stagione degli errori commessi per mancanza di lungimiranza politica (come è stato per la scelta del nuovo ospedale di Foligno, che se ubicato diversamente, a metà strada con Spoleto, sarebbe oggi un polo di eccellenza strategico e competitivo in termini di qualità di servizi anche con l’azienda ospedaliera di Perugia). Basta quindi con errori che creano fratture, esasperano campanilismi che ora possono sembrarne la causa, ma ne sono solo il paravento. C’è bisogno di progetti che sappiano prefigurare il futuro sotto tanti aspetti.
E’ per questo che è opportuno chiedersi se ha senso la costruzione di un nuovo ospedale tra Todi e Marsciano, a meno di 20 minuti da Perugia, a quali esigenze reali risponde tutto ciò, a quale costo ambientale si andrà incontro. Discorso analogo si può fare per il nascente presidio tra Amelia e Narni. Perché abbiamo un numero così alto di strutture sanitarie pubbliche regionali che non hanno la certificazione (che in tanti casi è stata applicata da anni in strutture private convenzionate). E la certificazione dei dirigenti? Appare infine davvero incomprensibile il balletto delle poltrone dei Direttori Generali, tutto sembra ruotarvi intorno. Alla faccia della centralità del cittadino al quale al massimo… ruotano a non finire.!
Tommaso Ciacca
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